Marketing, digitale e creatività

12/02/2018 14:04

Come la #creatività è destinata ad avere un ruolo sempre più rilevante a fianco del #marketing nella cultura dell'azienda #digitale.

Il digitale cambia le cose. Le ha cambiate, le sta cambiando e continuerà a cambiarle fintanto che ci saranno ancora cose analogiche da cambiare. Inevitabilmente, anche il binomio marketing e creatività diventa trino con la magia del digitale.
Da qui il florilegio di parole chiave per la Digital Transformation: Content Marketing, Digital PR, Digital reinvention, Influencer Marketing, Keyword Marketing, Marketing Automation, Mobile Marketing, QR Code Marketing, Search Engine Marketing, SERP Management, Social Media Marketing, Viral Marketing, Web Marketing, eccetera (in rigoroso ordine alfabetico).

Non è tutto oro però quello che luccica. Il quadro complessivo è turbolento e dinamico, prostrato dalla crisi economica, con aziende frammentate, complesse e in competizione tra di loro non solo sul terreno globale ma, chi più e chi meno, anche impegnate sul fronte di un eCommerce senza frontiere quanto ancora senza regole chiare.
Sempre più operatori quindi si stanno progressivamente rendendo conto di quanto la tecnologia sia fondamentale ma non sufficiente se si vuole operare con efficienza in un simile scenario di cambiamento, complessità e incertezza; un passo oltre è diventato necessario, un passo verso l’uso sistematico e non occasionale della creatività in azienda.

Il digitale non basta, non è tutto
Le ricerche più accreditate mostrano ormai già da qualche tempo un deciso calo nell’efficacia dei programmi di marketing tradizionali. Ciò non significa però, ancora una volta, che il digitale debba essere considerato la panacea di tutti i mali, la medicina miracolosa.

  • I media della vecchia guardia sanno fare ancora numeri importanti e non possono essere quindi esclusi da nessuna campagna perché è anche grazie a loro che la viralità esce dalla rete e raggiunge davvero tutti nei quattro gli angoli del mondo.
  • Il mercato (nessuna Industry esclusa) si è fatto praticamente “inafferrabile”, anche proprio perché soggetto a un complesso multicanale di stimoli diretti e indiretti, sempre più spesso provenienti anche dall’esterno del perimetro naturale, i cui esiti sono difficili da controllare e a monte difficili da assicurare.
  • I professionisti del marketing, che in passato dovevano essere manager efficaci e definire con largo anticipo gli obiettivi su cui poi lavorare all'interno di un budget, oggi devono comportarsi praticamente come imprenditori a loro volta e adeguare in maniera dinamica ogni azione, senza escludere alcuna possibilità.
  • Il cliente (utente, fruitore, abbonato, cittadino che sia) ha raggiunto ormai un buon grado di maturazione ed è quindi molto meno soggetto ai consigli per gli acquisti, specialmente quelli “ufficiali”, anche se arrivano in forme innovative.

Va bene cioè il Big Data Analytics, ben vengano data scientist esperti di statistica, ma se poi non si è in grado di calare le evidenze nella realtà, non si interpretano i numeri e non si agisce di conseguenza con il giusto grado di creatività, si finisce per dare all’azienda una fotografia del passato o del presente quando, sempre più spesso, il futuro è invece un’altra cosa. (L’ho letto in un post di Giampaolo Rossi, amministratore delegato della Fabbrica di Lampadine, mi è piaciuto e lo cito.) Gli strumenti in grado di mettere i dati al centro di una strategia aziendale esistono, certamente, ma devono ancora essere ben assimilati dall’impresa. Questa è la criticità.

Conoscere il proprio cliente
Al di là di strategie, metodologie, tecniche e tecnologie, vince chi conosce il proprio cliente, da sempre. Oggi però possiamo essergli più vicini che mai, instaurare con lui una relazione, attivare un ampio scambio bidirezionale di informazioni anche informale. Possiamo porlo davvero al centro di una pluralità di canali di comunicazione (non solamente Social) per incentivare la sua partecipazione, attraverso touchpoint, pratiche e modelli di interazione (meglio se coordinati, integrati e coerenti) tutti da inventare.
Il cliente non è più target, non è più personas, forse non è nemmeno ancora un cliente. Può essere un prospect, ma noi lo conosciamo già bene. Un Influencer o un decision maker che corteggiamo già da tempo. O, al contrario, potrebbe essere un nostro amico, fan o follower da tener ben stretto al nostro fianco, quasi fosse un’estensione del team di lavoro. E in realtà lo è, da sempre. Ma da quando siamo digitali lo è molto di più. I clienti – così come i fornitori, i dipendenti, i portatori di interesse a vario titolo, ecc. – orientano il comportamento dell’impresa e allo stesso tempo vengono orientati dal comportamento dell’impresa nella loro azione all’interno del mercato.
E per stringere e intrattenere tutta questa rete di relazioni, ancora una volta, il marketing (digitale o meno) non basta. L’apporto della creatività è fondamentale.

La creatività in azienda
Le definizioni di creatività in azienda abbondano nella manualistica di settore.
A me piace però costruire qui una sorta di sillogismo, forse un po’ complesso, ma credo assai suggestivo.
Se la redditività è l’obbiettivo prioritario dell’innovazione e l’innovazione è l’applicazione redditizia della creatività, allora – direbbe Aristotele – la creatività è la realizzazione di idee che producono valore.

Applicare la creatività
Senza troppo filosofeggiare, tre sono le chiavi per un’applicazione efficace della creatività in azienda:

  • coerenza: ossia in linea con le strategie e concorrere agli obbiettivi aziendali;
  • pertinenza: in relazione (ma non necessariamente) diretta con il tema in discussione;
  • redditività: deve portare profitto (anche in senso lato).

Nel nostro Paese la trasformazione delle attività aziendali accelerata dalla digitalizzazione si accompagna troppo spesso a soluzioni di integrazione estemporanee che mirano per esempio a rafforzare le competenze in corso d’opera, in mancanza di punti di orientamento fermi per definire le priorità nei meccanismi di governance delle iniziative interfunzionali.
Ma improvvisare non paga.
È necessario avere ben chiara la visione completa di tutta la linea di processo, perché la creatività ha il potere di stravolgere radicalmente il modo in cui si inventano, progettano, prototipano, testano, realizzano, promuovono, commercializzano, assistono, riciclano prodotti e servizi. Una creatività che si muove nella direzione della missione aziendale, infatti, crea valore (anche in senso lato) per tutti:

  • per il cliente, in termini di prodotto/servizio;
  • per il brand, in termini di reputazione;
  • per l’azienda, in termini di cultura.

Per questo – e con particolare riferimento all’ultimo punto – adottare a 360 gradi la creatività in azienda significa:

  • abbandonare logiche dipartimentali in favore di processi aziendali interdisciplinari;
  • accogliere stili di lavoro collaborativi;
  • creare gruppi di lavoro con competenze trasversali per favorire capacità comuni, riutilizzabili e applicabili su larga scala;
  • premiare le pratiche comuni e la convergenza tra i diversi ambiti di attività per rafforzare le sinergie fra i team con obiettivi condivisi.

Quanto vale la creatività?
Considerando l’ampia disponibilità di soluzioni analitiche per il marketing di grande precisione, oggi è relativamente semplice misurare l’efficacia di ogni iniziativa rivolta al mercato, sebbene la valutazione di risultati e benefici vada ben oltre il semplice calcolo del ROI, per includere aspetti intangibili, di natura più “effimera” (reputazione del Brand, fedeltà alla marca, advocacy, evangelism, passaparola ecc.) i cui effetti sfuggono alle metriche economiche tradizionali e si manifestano sul medio-lungo periodo.

I robot non ci ruberanno il lavoro, ma nemmeno la tecnologia, il digitale o l’AI
Allora, alla fine, la creatività è la madre di tutte le soluzioni o no? No: così come il digitale, anche la creatività è solo uno strumento, non la risposta in sé. Indica la strada, suggerisce delle soluzioni, immagina l'innovazione, a seconda dei casi e delle necessità.
L’uomo mediatore, l’uomo demiurgo, l’uomo Del Monte che alla fine in prima persona assaggia il frutto e dice “Sì!” resta ancora una risorsa imprescindibile, l’elemento centrale della catena del valore.
Non per nulla, all'Accenture Technology Vision 2017 la multinazionale di consulenza statunitense si è inserita nel dibattito robot e futuro del lavoro in maniera netta: “L'Intelligenza artificiale e la definizione di nuovi mercati digitali possono liberare livelli di creatività, genio e produttività con un impatto positivo sulla società.”
E se lo dicono loro…

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