Tutti fini aforisti
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Corrado Calza | Milano | comunicazione | giornalista | Twitter | Social Media | #iocomunicando | scrittura
ATTENZIONE: Questo testo non è ottimizzato SEO.
Mio padre (80 anni) è in quella fase della vita in cui quasi tutte le “cose nuove” appaiono scemenze inutili. Discreto utente del web, si accanisce però con particolare ostinazione contro smartphone, mobile e Social. Diventa feroce quando stampa e telegiornali gli ripropongono il contenuto dei blog e i tweet dei nostri politici.
Discutiamo spesso, ma alla fine concordiamo nel considerarli mezzi di propaganda finalizzati a produrre consenso, esattamente come un più tradizionale messaggio radiotelevisivo autogestito in campagna elettorale, un ospitata da Vespa, un servizio o un’intervista durante il TG in prime time, un passaggio in radio (vanno bene anche La zanzara o Un giorno da pecora), una lettera aperta a un giornale, eccetera. (Marco Belpoliti scriveva sulla Stampa riferendosi nello specifico a Renzi: "...usa i social network come Berlusconi la televisione e i politici della Prima Repubblica la carta stampata").
Quello che invece la comunicazione via Social, ma specialmente Twitter, ha di davvero innovativo è la possibilità di inviare un numero di messaggi potenzialmente illimitato, grazie a una tecnologia diffusa in maniera capillare, di facile impiego e disponibile a costi minimi (...ripenso a quando al liceo si facevano i ciclostili). Naturalmente è impossibile pretendere che a questa grande quantità corrisponda altrettanta qualità.
Da tempo però sentiamo dire che, grazie a eMail, SMS, post, blog e alle diverse piattaforme Social, stiamo recuperando il gusto e l’abitudine alla scrittura. Ma qualcuno è mai andato a pesare l’effettivo valore medio dei contenuti diffusi? Ho il sospetto che i risultati di una simile ricerca, per quanto empirica, sarebbero a dir poco disarmanti. Inoltre, quando si ha a disposizione un numero limitato di caratteri, essere effettivamente significativi è ancora più difficile. Ma se si ricopre un ruolo pubblico sarebbe il caso di “onorarlo” e quindi di misurare bene le parole e il numero dei messaggi prodotti. Invece, a quanto pare, il vecchio detto: “Nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli” è ancora di grande attualità e con tutti i mezzi che oggi abbiamo a disposizione per parlare e far parlare di noi, il rischio di sovraddosaggio e di conseguente assuefazione è concreto.
Unica salvezza, diventare tutti “fini aforisti”... Praticamente impossibile!