Surprise Marketing: condividi i tuoi dati o implodi
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Corrado Calza | giornalista | digitale | Customer Experience | marketing | Big Data | AI | coopetizione | #iocomunicando | #noSEO | #podcast
Attenzione: questo non è un testo formattato SEO. La lettura richiede circa 9 minuti. Il testo è disponibile anche in versione podcast cliccando qui.
In uno scenario digitale, Mobile e Social, dove tutto è connesso – persone, cose, imprese, organizzazioni... –, il visitatore / lead / prospect / cliente / consumatore / utente / fruitore (da qui in poi per semplicità solo “cliente”) esprime aspettative sempre più alte rispetto a brand, fornitori, insegne commerciali ecc. Ma ancor prima, a monte del processo, è in grado di indirizzare la scelta manageriale verso una produzione “iper-diversificata” o taylormade ed è parte del ciclo di produzione, fino ad avere un ruolo attivo in prima persona sulla forma finale del prodotto che acquista o del servizio di cui fruisce.
In uno scenario digitale, Mobile e Social, dove tutto è connesso – persone, cose, imprese, organizzazioni... –, le aziende reagiscono e si adattano velocemente. Da tempo ormai, Top of the List è investire in una migliore Customer Experience per fidelizzare il consumatore (secondo l’ultima ricerca “Customer Experience Optimization” di Econsultancy, il 96% delle imprese nel mondo “...declared Customer Experience Optimization as at least ‘important’, with more than two in five companies (41%) ranking it as ‘high priority’”). Tutto ciò oggi si traduce in azioni di breve, brevissimo periodo, sempre più costanti, continue, puntiformi e controllate da applicazioni digitali che permettono all’azienda di creare valore attraverso l’analisi dei comportamenti del cliente, la conseguente previsione dei suoi desideri e infine mediante la fornitura di un prodotto / servizio / contenuto non solo personalizzato, ma anche dinamico e relativo al contesto. Per questo non bastano Data Scientist, esperti di statistica, ma sono necessari anche e sopratutto uomini di marketing che sappiano calare le evidenze nella realtà e questo – inutile nasconderlo – resta un fattore critico. Anche se l’obbiettivo è un’iper-personalizzazione dell’esperienza del cliente che ne anticipa proattivamente i bisogni in funzione delle abitudini d’acquisto e del qui-e-ora, non si può comunque considerare qualsiasi prodotto / servizio / contenuto alla stregua di una commodity; tutto non è sempre e solo frutto di un moto d’impulso.
Noi non ci domandiamo mai davvero se le pulsioni di milioni di individui che prendono miliardi di decisioni economiche in tutto il mondo globalizzato si possano realmente far collassare in modelli elementari e polarizzati, pronti all’uso. Eppure abbiamo la presunzione di poter (e saper) macinare Big Data sempre più consistenti, per governare al meglio il mondo dei consumi, lavorando inconsapevolmente in bilico sul sottile filo della contraddizione con i nostri stessi presupposti, rischiando cioè il pericoloso cortocircuito concettuale che contrappone modellizzazione e personalizzazione.
Bolle di business
In senso lato, un primo rischio che deriva dalla radicalizzazione di un simile modello di business è già sotto gli occhi di tutti. Sono le cosiddette bolle o camere di risonanza, dove ci si incontra tra simili e ci si conferma reciprocamente la propria somiglianza, escludendo tutto ciò non ci assomiglia. Sia ben chiaro, è inevitabile. Siamo immersi in un quotidiano così intriso di complessità che trovare il modo per semplificare quanto più possibile, là dove possibile (e magari anche oltre) è una reazione umana più che legttima. Sul fronte business invece, tutto ciò si traduce nella sempre maggiore importanza che i sistemi predittivi e le customer experience adattive e personalizzate rivestono nelle strategie di marketing.
L’esempio forse più facile da riportare è rappresentato dalle piattaforme commerciali web che a ogni vista suggeriscono: “Chi ha visto le scarpe di Gucci ha guardato anche le borse di Gucci”. Oppure: “Chi ha prenotato una vacanza a Ibiza ha guardato anche una vacanza a Formentera”. O ancora: “Chi ha ascoltato Eine Kleine Nachtmusik di W. A. Mozart ha ascoltato anche Watermusic di G. F. Haendel”. Avanti di questo passo però si corre il pericolo che il cliente finisca per vedere, ascoltare, fare, scegliere e acquistare sempre le stesse cose. Il che, se da una parte non giova alla sua crescita culturale, dall’altra assicura valore a tutta la filiera produttiva e commerciale solo nel breve termine. Alla lunga infatti, il sistema rischia di implodere a causa della mancanza di un progressivo rinnovamento nei dati. Saranno sì disponibili fantabyte di informazioni, ma tutte uguali: Big Data affetti da tare genetiche e quindi operativamente inutili.
Ma mi si nota di più se non vengo o...
Ecco perché abbiamo bisogno del Surprise Marketing: un modo di analizzare e sfruttare i dati che permetta di capire a fondo le dinamiche del mercato per conoscere nel dettaglio non solo il profilo di chi acquista il prodotto ma anche – e qui sta la novità – il profilo di chi non lo acquista e perché. In altri termini, si potrebbe parlare di un Data Mining che lavora al contrario, alla ricerca di ciò che il cliente non ha ancora visto, fatto, ascoltato, scelto o acquistato, per invitarlo a provare qualcosa di nuovo, di diverso. Naturalmente un prodotto o un servizio che abbia comunque per lui un qualche appeal e che sappia soddisfare un bisogno già intercettato e mappato altrove da altri. Passare cioè, da un “Chi ha comprato questo ha comprato anche quest’altro” a un “Tu che hai comprato questo, oggi prova invece quest’altro!”, quasi come fosse una sfida.
Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario mantenere sempre allineati i dati che provengono dalle fonti interne con quelli che possono invece arrivare da fonti esterne. È lì, in questo incontro, che sta il futuro dell’azienda: nel capire che da soli non basta, troppo grandi si inciampa, troppo piccoli si finisce schiacciati. Nel comprendere che condividere le informazioni è un fattore critico di successo e non un ostacolo.
Barriere allo switch
La cosa più difficile è come sempre riuscire a mettere intorno a un tavolo tutte le figure coinvolte in un progetto di Surprise Marketing e convincerle a superare barriere e gerarchie per definire insieme obiettivi comuni in grado di incrementare l’efficienza dei processi e al tempo stesso la soddisfazione dei clienti.
Ecco un’altra criticità: se i clienti sono un mio asset, perché dovrei condividerli e rischiare di perderli? – Si domandano in molti, senza riuscire a immaginare un ritorno profittevole, anche se indiretto e a medio termine. Un vantaggio che va ben al di là del semplice acquisto di una raccolta di dati personali profilati.
Certo: bisogna mettere in discussione le fondamenta del proprio modo di fare business. Bisogna imparare a condividere i dati raccolti ammettendo che è l’unico modo per poter disporre di informazioni consistenti e produttive. Bisogna accettare una profonda rivoluzione di paradigma e adottare un modello di coopetizione, all’interno di un ecosistema economico di scambio aperto e continuo. E non è facile, ammettiamolo.
Ciò nonostante, chi continua a replicare schemi consolidati di pensiero e di azione rimane indietro e, poco alla volta, si trova fuori dal mercato. Qui mi piace ricordare una frase attribuita ad Ashleigh Brilliant, che trovo calzante ma specialmente molto attuale: "Some changes are so slow, you don’t notice them, others are so fast, they don’t notice you".
In conclusione possiamo dire che oggi l’impresa dispone di numerosi strumenti in grado di mettere la relazione con il cliente al centro della strategia aziendale, con un’efficacia mai sperimentata prima. Il problema è che devono ancora essere assimilati dal mercato, restano piattaforme difficili da integrare e l’impresa, specialmente quella locale, non sembra affatto essere pronta o disponibile ad allinearsi.
Lo zen e l’arte dell’algoritmo
Un giorno però un gruppo di imprenditori illuminati, fulminati sulla via di Damasco, riuscirà a comprendere il potenziale di questa opportunità e saprà coglierla pienamente. Indosseranno collane di fiori, apriranno le porte dei loro server, scoperchieranno i loro silos e condivideranno allegramente i nostri dati personali. Ma da quello stesso giorno, in un futuro digitale ancora più Mobile e Social, in cui persone, cose, imprese e organizzazioni saranno sempre più connesse, gli algoritmi cominceranno a pensare più o meno così: «I clienti che hanno fatto questo normalmente non fanno quello, ma in un numero significativo di inviti a farlo alla fine hanno apprezzato quindi possiamo proporlo anche ad altri».
E così torneremo punto e a capo. Mi sa proprio che non abbiamo scampo!
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