Sex-bot. Così cade la “quarta parete”
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Corrado Calza | giornalista | comunicazione | #sexbot | #AI | #robot | #iocomunicando | #noSeo
Ciclicamente, il tema torna tra gli interessi del grande pubblico, a corollario dei picchi di attenzione dedicata ai temi più generali e popolari della rivoluzione digitale come l’intelligenza artificiale, la guida autonoma, gli assistenti vocali, eccetera.
Quelle che una volta erano le “bambole di gomma”, quasi ridicole e termosaldate come i canotti, oggi sono umanoidi in silicone spaventosamente verosimili e dotati di AI, in grado quindi di simulare relazioni e personalizzare le modalità di partecipazione all’atto per ogni singolo utente, secondo i suoi gusti e le sue abitudini.
I media generalisti pubblicano pezzi di colore e raccontano dell’apertura nelle maggiori capitali europee di bordelli per “robot sex workers” o di appartamenti per “prestations sexuelles sur des poupées grandeur nature en silicone” o ancora di hotel dove poter vivere quell’ “esperienza erotica che ha ribaltato il mondo del sesso”. La stampa specializzata invece si sofferma sui dettagli tecnici degli ultimi modelli, sulle innovazioni in ambito costruttivo, meccanico, elettronico e, naturalmente, di intelligenza artificiale.
Il tono è divertito nei primi e di meraviglia nei secondi, che celebrano la robotica come l’espressione oggi più avanzata della tecnologia digitale, sempre in progress, con tempi sempre più brevi e quindi per definizione assolutamente imprevedibile. Il tema dell’impatto sociale di una possibile diffusione di massa dei sex-bot viene spesso trattato con superficialità o limitato a una serie di domande a cui nessuno oggi è ancora in grado di dare una risposta esauriente.
Un’amica attrice, con me a una conferenza sul tema, durante il Question Time finale ha invece spostato l’attenzione su un dettaglio – quello nel titolo – che ho immediatamente trovato molto interessante ed evocativo e che voglio provare ad approfondire in questo articolo.
Tre brevi premesse innanzitutto
- Tralasciamo qui intenzionalmente qualsiasi riferimento al tema della dignità della donna, che diamo per scontato.
- Diamo altrettanto per scontato che i sex-bot non cancelleranno la prostituzione “in carne e ossa”, tanto meno i fenomeni di degrado, sfruttamento e violenza che ne sono l’indegno corollario.
- Accettiamo infine, senza troppi pregiudizi, il fatto che, in diversi luoghi di questo nostro mondo, la prostituzione è accettata e regolata a norma di legge con tasse, controlli sanitari, trattamento pensionistico e quant’altro.
La fantasia
Se il sesso è (anche) un gioco, allora evviva! Le love-dolls sono una “libidine coi fiocchi” (copyright: Jerry Calà, 1980). Questo tipo di androidi specializzati, sempre più realistici nell’aspetto e nella capacità di interazione intelligente, sono macchine progettate per garantire senza riserve il massimo piacere all’utente. Permettono di esprimere ed esplorare qualsiasi fantasia sessuale e forse potrebbero essere considerati formidabili sex-toy high-tech piuttosto che surrogati robotici di una meretrice a tutti gli effetti. Oggi disponibili anche al pubblico, benché a prezzi ancora proibitivi, sono con buone probabilità destinati a diventare più accessibili in tempi verosimilmente brevi.
Secondo una prima linea di pensiero non ci sono da temere conseguenze negative per la vita del singolo o del sistema famiglia, così come oggi lo intendiamo. Giocare con una real-doll può essere considerata un’esperienza ricreativa in sé conclusa che non si traduce per forza in una conseguente incapacità di confrontarsi con la realtà in maniera corretta, fino al punto di trattare le macchine alla stregua di esseri umani. È già successo negli anni ’90 con il Tamagotchi. Nonostante qualcuno ci abbia letteralmente perso la testa, alla fine l’umanità è riuscita a sopravvivere. Nella stessa maniera, oggi i nostri bambini sopravviveranno a Luna e Dodo, i due robot giocattolo che “esprimono le loro emozioni e interagiscono con te”, che più li accarezzi e più sono felici.
Secondo un’opposta e allarmata linea di pensiero invece, i sex-bot rappresentano il primo passo verso l’adozione generalizzata – e quindi la normalizzazione – di un modello sbilanciato di relazione tra uomo e donna.
La violenza
Dal modello sbilanciato al femminicidio il passo sembra essere spesso molto breve, come purtroppo ci racconta la cronaca quotidiana.
Se il mio modello sessuale di riferimento è rappresentato dall’aggressività, se la mia fantasia e il mio universo ludico sono legati al controllo, al dominio, alla sopraffazione, se per me il sesso è esercizio incondizionato del potere, posso rivolgermi a “Frigid Farrah” (prodotta da TrueCompanion USA), programmata per dire no, resistere alle avance sessuali e interpretare il ruolo della vittima di una violenza sessuale. Oppure posso provare ad affrontare seriamente quella serie di domande a cui si accennava all’inizio e a cui è ancora molto difficile dare una risposta netta e precisa.
Da una parte troviamo infatti schierati tutti coloro per cui le love-dolls hanno una potenziale funzione sedativa, sono una forma di contenimento della violenza di natura sessuale, svolgono efficacemente una funzione compensatoria della nostra aggressività repressa e rappresentano un’utile valvola di sfogo che permette la scarica dell’aggressività latente e riduce alla fine la possibilità di comportamenti violenti.
Dall’altra invece troviamo schierati tutti coloro secondo cui lo sdoganamento di comportamenti legati a un immaginario violento condiziona e desensibilizza gradualmente la persona fino a convincerla di come certi atteggiamenti possano essere considerati un evento normale, aumentando così la predisposizione all’aggressività. Non solo si affievolisce la capacità inibitoria, la vigile sorveglianza del nostro Super-io, in una parola l’avversità oggi naturale nei confronti dei comportamenti aggressivi, ma al contrario si stimola il rilascio dell'aggressività, a quel punto percepita come accettabile, e si incoraggia un possibile passaggio dal piano della fantasia al piano della realtà.
La mancanza di risposte scientifiche certe, come di evidenze statistiche, si oppone però a qualsiasi ipotesi in un senso o nell’altro. Certo è che 25 anni di “Doom” non ci hanno trasformato tutti in spietati e insensibili serial killer o al limite in hikikomori compulsivi, al netto dei singoli casi di cronaca. Né, sempre al netto dei singoli casi di cronaca, ci siamo tutti trasformati in maniaci sessuali, o al limite in ostinati stalker, a causa della sempre maggiore disponibilità di pornografia, dai dagherrotipi della prima metà del 1800, fino ai moderni canali di YouPorn, passando per i “giornaletti porno” venduti (incredibilmente ancora oggi) nelle edicole, come gloriose rievocazioni di un passato analogico e giurassico.
La consapevolezza
L’impossibilità di stabilire scientificamente un collegamento diretto e significativo tra il consumo di relazioni sessuali con un robot e l’inclinazione a praticare violenza sugli altri o l'incapacità di costruire relazioni affettive stabili con i propri simili, suggerisce la necessità di cercare altrove le ragioni dei timori fin qui evidenziati.
La grande attenzione che in questi ultimi anni media e opinione pubblica rivolgono al tema è stato dimostrato non dipendere da un reale aumento dei fenomeni criminosi, ma piuttosto da una crescente consapevolezza che deriva – anche, ma non solo – da una più ampia disponibilità di informazioni e a cui corrisponde una finalmente maggiore propensione e volontà alla denuncia. Una nuova sensibilità che, quando mal interpretata o abilmente strumentalizzata, può diventare allarme sociale, grazie anche alla capacità che, oggi mai quanto prima, la percezione ha raggiunto nel sovrascrivere in maniera convincente la realtà fattuale in molti aspetti del nostro quotidiano.
Le perversioni
Questione, se possibile, ancor più pressante e complessa, legata in maniera estremamente significativa al tema più generale della violenza sessuale.
Con una real-doll è concesso realizzare potenzialmente qualsiasi fantasia erotica e cogliere l’occasione anche per spingersi oltre i limiti consentiti dalle norme morali e sociali correnti e soddisfare così il piacere del proibito in un immaginario ad alto tasso di realismo. Ma guardare un video “specializzato” (MILF, SM, Teen, College…) o contrattare la messa in scena di un proprio sogno erotico e stabilire le regole del gioco con un/a partner consenziente o un/a professionista, non è nemmeno lontanamente paragonabile ad avere un rapporto sessuale con un robot dalle fattezze, per esempio, di un bambino.
La fattispecie delle perversioni disegna confini ancora più riconoscibili attorno al tema della violenza sessuale. Limita il perimetro dell’immaginazione a ipotesi concrete e apre scenari, proprio per questo, più inquietanti. Rafforza, non senza qualche valido fondamento, l’insieme di allarmi e preoccupazioni che abbiamo fin qui preso in esame.
Possiamo anche sospendere il giudizio, accettare l’inarrestabile e sostanziale storicizzazione del concetto di morale e considerare semplicistica l’idea del sex-bot come forma di corruzione del costume, ma comunque resta difficile pensare di poter legittimare un diritto alla violenza. Anche se simulata, anche se per gioco. Certamente più difficile di quanto fu per il divorzio e l’aborto allora e, in tempi più vicini a noi, per il riconoscimento delle unioni omosessuali o le battaglie per la Diversity Inclusion. Difficile anche quando si agisce in nome di una politica del male minore finalizzata a ridurre il rischio sociale.
La salute
Il tema del controllo del rischio sociale è da sempre legato alla prostituzione a cui – qualcuno dice pretestuosamente – si riconoscono numerose funzioni positive.
Le love-doll come le prostitute, ma ancor meglio delle prostitute, non esprimono sentimenti (se non opportunamente configurate), non obbligano al confronto e non espongono al rischio di un rifiuto né di un fallimento. Sono rassicuranti, prive di una propria, temibile, autonomia e quindi un ottimo strumento per il contrasto alle fragilità relazionali e all’isolamento sociale; le prime garanti del diritto a una vita sessuale anche per le categorie svantaggiate, a cominciare dai disabili.
Nemmeno quest’ambito però sfugge ai dubbi sollevati dalla mancanza di prove scientifiche. Conclusioni incerte arrivano infatti anche da un recente studio condotto in Gran Bretagna dal St.George’s University Hospitals e dal King’s College di Londra. Un’ampia ricerca che spazia dai disturbi della sfera sessuale legati all’ansia generata dal confronto con partner umani (problemi della libido, disfunzione erettile, eiaculazione precoce…), fino alle perversioni (pedofilia, sadomasochismo, schiavitù sessuale…). “Data la debolezza delle prove finora raccolte” – si legge nell’abstract – e la mancanza di “sufficienti dati, raccolti in modo robusto ed etico”, l’uso dei sex robot nella pratica medica (sic) è sconsigliato o quanto meno raccomandato “con grande cautela”.
La quarta parete
Il telecomando, il videoregistratore, l’onDemand e la Smart TV hanno contribuito a una vera e propria mutazione antropologica del telespettatore che, da soggetto passivo, è diventato costruttore attivo – cross-mediale e multi-schermo – dei propri palinsesti. Nella stessa maniera, e lo sanno bene gli uomini di marketing, il consumatore di oggi non è più target ma destinatario del messaggio (diremo per semplicità) pubblicitario. È la figura al centro del flusso comunicativo, controlla ciò che vede e ciò che condivide e, naturalmente, ciò che acquista. Inevitabilmente, questa trasformazione nei modelli di pensiero contamina anche il consumatore di pornografia e l'utilizzatore di sex-toy – e in prospettiva quindi di sex-bot – che oggi si muove con maggiori conoscenze alla ricerca di soluzioni innovative e al passo con i tempi.
Le love-doll sono innegabilmente l’esperienza più coinvolgente, emozionante, verosimile e realistica al momento disponibile, in grado di cancellare i limiti della realtà virtuale immersiva. Con un robot, per usare un termine teatrale, cade infatti la cosiddetta “quarta parete” (quel “muro” immaginario, posto di fronte al palcoscenico, attraverso cui il pubblico osserva l’azione, che si svolge nel mondo dell’opera rappresentata, e da cui rimane distante e separato.)
È proprio intorno a questa possibilità di superare il campo delle rappresentazioni, di agire a livello fisico l’aggressività, che si sviluppa il dibattito, popolare e scientifico. Ancora una volta si osservano le due consuete posizioni diametralmente opposte: la prima, secondo cui una concreta messa in gioco del corpo facilita la liberazione dell’aggressività compressa. L’altra, secondo cui la medesima messa in gioco del corpo facilita invece il passaggio dal piano finzionale a quello reale, quanto meno in termini di potenzialità.
La straniera
Un ultimo aspetto relativo alla diffusione delle real-doll attiene alla capacità per questi dispositivi di diventare un prodotto davvero popolare.
Al di là dei costi e delle… dimensioni (è molto più difficile nascondere un robot antropomorfo in scala 1:1 di un qualsiasi altro giocattolo erotico), occorre non sottovalutare la variabile “Uncanny valley”: più un automa è realistico, più rischia di incontrare il rigetto dell’utente. Si pensi, per esempio, alle perplessità suscitate dalla versione 2019 del film “Il Re Leone”, criticato per l’eccessiva verosimiglianza che a tratti dava l’impressione di assistere a un documentario piuttosto che al remake high-tech di un cartone animato. Il picco di straniamento si raggiunge davanti a tutti i cosiddetti mismatch, al momento ancora inevitabili, tra il comportamento atteso e quello realmente messo in atto dalla macchina (una reazione inadeguata, un movimento scoordinato, un silenzio prolungato…). Ne derivano sconcerto, delusione, sospetto, diffidenza e un’ampia gamma di altri sentimenti negativi.
È semplicemente la nostra naturale paura del diverso, dello sconosciuto. La stessa che prende molti di noi davanti allo straniero, anche solo all’immigrato che incontriamo ogni giorno sulla strada verso il posto di lavoro. Forse sarà proprio questa paura, figlia dell’istinto di sopravvivenza, che impedirà alla razza umana di estinguersi sotto i colpi di una violenza diventata consuetudine o, nella migliore delle ipotesi, di scomparire inghiottita dal vortice di un tripudio orgiastico, nella dissoluzione di un ludico onanismo a 5G.
Quindi tranquilli: ce la faremo anche questa volta… Come sempre.