Schiavi al lavoro
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Corrado Calza | giornalista | content | #AI | #robot | #robotica | #lavoro | #iocomunicando
Anche questa mattina, prima di entrare da un cliente “affezionato”, ho preso un caffè nel solito bar dall'altra parte della strada. Sono entrato, ho salutato, ho ordinato: “un caffè, grazie” e la giovane donna dagli occhi a mandorla, credo titolare dell’esercizio, mi ha servito con un sorriso dicendomi (ovviamente): «p-lego».
Nel frattempo un altro cliente è entrato, ha ordinato un caffè, ha consumato, ha pagato ed è uscito.
La donna, che si fa chiamare Luna, a quel punto si è girata verso l’uomo con lei dietro al bancone, credo suo marito, e gli ha detto qualcosa nella loro lingua. Non sembrava contenta, ma provare a intuire il senso di una conversazione solamente dal tono, quando si tratta di “quelle lingue là”, può portare a non pochi e imprevedibili malintesi. Luna poi si è voltata e, resasi conto che avevo seguito il loro scambio di battute, ha sentito la necessità di spiegarsi e, probabilmente, anche di cercare la mia complicità.
«Cliente mai saluta. Mai dice: “g-lazie”.»
Tempo fa ho scritto un articolo in cui immaginavo che, se opportunamente programmate, le macchine potrebbero insegnarci a dire più spesso buon giorno, per piacere, grazie eccetera. Ora ho qualche dubbio.
Il dubbio
L’altra sera un amico mi ha “iniziato” a Humans: una serie inglese su pluto.tv, ambientata in un futuro molto prossimo, dove ogni famiglia ha un robot antropomorfo destinato alle faccende di casa e in grado di interagire con le persone attraverso il linguaggio naturale. Alcuni dei personaggi hanno con l’androide una relazione molto simile a quella che hanno con i loro familiari, atteggiamento che dà origine a equivoci e imbarazzi facili da intuire. Altri invece si limitano a impartire ordini, ironizzando sul fatto che nessuno ha mai ringraziato la propria lavatrice a fine ciclo.
Ecco il mio dubbio: se ci sono in giro (tante?) persone che non salutano né ringraziano il barista quando gli serve il caffè, cosa potrebbe succedere a queste stesse persone una volta che dovessero avere in casa un domestico robotico, a propria immagine e somiglianza, da poter trattare come un vero e proprio schiavo? Non sono uno psicologo né un sociologo, ma mi guardo attorno e mi viene naturale pensare a come una simile eventualità alla fine potrebbe consolidare, se non addirittura legittimare, certi comportamenti sgradevoli che oggi tolleriamo con indifferenza.
La macchina ci libera dalla fatica di lavorare. L’intelligenza artificiale ci libera dalla fatica di pensare. La robotica ci libera dalla fatica di amare?
Non ci credo! Non mi piace!
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