Quel diavolo di un cellulare
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Corrado Calza | Milano | comunicazione | giornalista | cellulari
Raccolgo lo sfogo sconsolato di una mamma la cui figlia, prossima a un esame, si domandava come avrebbe potuto tenere sotto controllo il passare del tempo durante la prova poiché, ovviamente, le era impedito di avere con sé il cellulare.
Senza il suo “scatolino magico” la giovane si sentiva perduta.
«Portati un orologio!» Le aveva risposto spazientita la “vecchia” genitrice.
Un esempio paradossale o piuttosto emblematico di quanto, un po’ tutti, dipendiamo da questa nostra estensione sensoriale (per dirla con Marshall McLuhan), da questa nostra appendice relazionale (per dirla ancora con Gianluca Nicoletti).
Una volta infatti c’erano gli orologi e le sveglie, le macchine fotografiche e le cineprese (poi videocamere), i walkman (poi lettori CD portatili e dopo ancora mini-lettori mp3), i Moleskine, i diari e le matite, i navigatori satellitari, i cercapersone, i contapassi, le calcolatrici tascabili… Oggi invece sta tutto lì, dentro uno smartphone. Ce lo ricorda con dovizia di numerosi esempi una recente pubblicità di Apple per l’iPhone.
Comodo, indubbiamente: un solo dispositivo invece di decine, e sempre a portata di mano. Ma se poi si guasta? Perdiamo tutto ciò che non è stato preventivamente backuppato (e/o condiviso) nel PC o nel cloud: indirizzi, numeri telefonici, agenda, foto, filmati, musica… Tutto in un colpo solo!
Meno dispositivi significa anche meno rifiuti ma, se esultano gli ambientalisti (e i netturbini), un po’ meno gioiscono i produttori di orologi, macchine fotografiche, agendine… che, in questo periodo di difficoltà, vedono erodersi ulteriori quote di mercato.
La disponibilità di sempre maggiori funzioni e nuove app per il nostro smartphone ci permette di restare aggiornati con gli sviluppi della tecnologia digitale applicata alla quotidianità, però gli psicologi potrebbero lanciare un autorevole allarme perché i nostri giovani (specialmente loro) rischiano di perdere a breve la capacità cognitiva di leggere e interpretare – quindi comprendere – segni analogici come appunto la posizione delle sfere in un orologio tradizionale. E, inoltre, il grado della nostra dipendenza da un singolo strumento che incorpora diverse funzioni è infinitamente superiore rispetto al grado di dipendenza che possiamo sviluppare nei confronti di uno solo dei diversi strumenti di cui facciamo uso quotidianamente.
Sposando un approccio apocalittico alla questione (e questa volta il Grande Maestro è Umberto Eco), così potremmo esporre il dilemma: meglio essere schiavi di tante diverse macchinette infernali o di una sola – demone sommo – che in sé tutte le racchiude?
Come sempre una terza via esiste ma è – come sempre – a esclusivo appannaggio dei più saggi: l’immediata fuga salvifica in un lontano ashram. Chi vuole fare da capo-gita?