Prima gli slogan degli italiani
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Corrado Calza | giornalista | comunicazione | slogan | #iocomunicando | #noSEO
“Prima Gli Italiani”, quasi una parodia del trumpiano “America First”, racconta di sperequazioni quotidiane che favoriscono Lo Straniero a discapito de L’Italiano, senza però analizzarne le cause per spiegarne le ragioni e offrire così soluzioni concrete.
Certo, si tratta di uno slogan e uno slogan per sua natura deve essere breve, semplice e accattivante e non dilungarsi in dettagli e spiegazioni tecnico procedurali relative alla questione di cui si erge a vessillo. Ciò non toglie che dietro uno slogan sia necessario il solido e credibile sostegno della catena virtuosa: visione (che ispira un) progetto (che a sua volta guida una) azione. Altrimenti uno slogan è fine a se sesso e non rappresenta nulla; il proverbiale fumo senza arrosto.
Fine prima parte.
Seconda parte.
Al temine di un incarico professionale mi rivolgo al Centro per l’Impiego della mia città volendo regolare alcune formalità in sospeso.
Da dietro la sua scrivania di fòrmica lisa, una giovane operatrice, mi comunica che purtroppo sto presentando la richiesta oltre i termini di scadenza e che di conseguenza non può accettarla.
Replico che non è vero: in base alla normativa, al decreto, alla modifica, numero, paragrafo, comma, eccetera, sono ancora ampiamente nei tempi e le mostro copia di un documento che suffraga la mia obiezione.
Per tutta risposta e senza turbamento alcuno, la signorina annuisce ed estrae da uno schedario alle sue spalle un modulo e me lo porge da compilare. Vengo quindi rimandato a casa con la più calorosa assicurazione sul positivo esito della mia domanda, in tempi che però restano difficili da quantificare.
Punto e a capo.
Per oltre un decennio ho collaborato con una cooperativa di lavoratori africani. (Ebbene sì, non se ne abbiano a male Salvini & Co., ma a me El Nègher mi dava da mangiare…) La sede operativa della cooperativa fungeva, oltre che da redazione per un periodico specializzato, anche da centro di prima accoglienza e orientamento per i nuovi arrivati: in caso di bisogno persino un’iniziale temporanea ospitalità, ma comunque sempre indicazioni pratiche e concrete per affrontare le ostilità della burocrazia italiana nelle procedure per la richiesta di documenti, permessi e quant’altro.
Nello stesso periodo vengo anche in contatto con l’associazione culturale italiana della comunità cattolica di un Paese dell'Estremo Oriente che svolge attività del tutto simili: dai ricongiungenti familiari all'organizzazione di eventi in occasione delle più importanti festività tradizionali.
L'esperienza personale, quindi, mi dice inequivocabilmente che se prima de Gli Italiani arrivano Gli Stranieri (sussidi, finanziamenti, borse di studio, case popolari ecc.) è perché sanno organizzarsi e fare rete, cosa che a noi, notoriamente, non riesce affatto bene, in nessun campo. Loro non hanno sportelli informativi occupati da professionisti (almeno in parte) del tutto impreparati, ma connazionali (non sempre del tutto disinteressati, sia chiaro) esperti, se non altro per una banale questione di pregressa esperienza diretta.
Fine seconda parte.
Ripresa.
Senza dubbio è più facile creare uno slogan di successo che un prodotto di successo (non me ne vogliano i copy di ogni luogo e tempo).
Più facile annunciare “Prima Gli Italiani” che progettare e offrire (a tutti) servizi efficienti in ambito sociale, finanziario, di orientamento al lavoro eccetera. Certamente più facile che convincere poi gli utenti della validità di questi servizi e prima ancora più facile che formare gli operatori addetti all'erogazione. Persino più facile che stilare normative ad-hoc per penalizzare Gli Altri.
Ma, incredibilmente, l'attualità ci dice che più facile di tutto è creare una potente macchina per la propaganda e campagne web di facile presa, capaci di nutrire i sogni de La Gente, nel caso specifico di trasformare in odio e consenso la paura, il rancore e la frustrazione (non me ne vogliano Art Director, Media Planner, Account e colleghi).
Lo slogan si presenta come uno slancio vitale, gioioso e nobile; teatrale, dannunziano e situazionista. Il progetto ha l'aspetto sgradito di una Circolare Ministeriale, scritta in verboso e diplomatico burocratese, foriera di soluzioni compromissorie e scelte impopolari.
Inutile chiedersi quale delle due alla fine goda di maggiore popolarità e perché.
Lo slogan è la voce di un solista, chiara e diretta; il progetto è il coro di un'intera filiera, composito e mediato. Lo slogan è la conferma del detto: Chi fa da sé fa per tre, in barba a tutti coloro secondo cui fare squadra, fare rete (spontaneamente o tramite un'Istituzione predisposta), garantisce risultati migliori di quelli che si ottengono lavorando da soli o, persino peggio, in conflitto con gli altri. A ben vedere, lo slogan è ancora un'altra declinazione dell'antistorico e miope sovranismo, del patetico patriottismo di facciata a cui, nella modernità dell'iperconnessione e della condivisione, molti di noi assistono increduli e purtroppo impotenti.
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