Offrire lavoro è un lavoro serio
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Corrado Calza | giornalista | comunicanzione | content | #lavoro | #HR | #recruiting | #ricercalavoro | #iocomunicando
Tutti, attraverso i nostri numerosi canali digitali, riceviamo ogni giorno alert per annunci di lavoro e notifiche di posizioni aperte che però, solo raramente, si rivelano davvero "in linea con il nostro profilo" o "di sicuro interesse", nonostante per tali ci vengano presentate con grande enfasi. Ne riceviamo tante, ne riceviamo troppe e, all'inizio dell'estate, C.G., esasperato dall'ennesima proposta, questa volta davvero troppo poco in linea con il suo profilo, ha pubblicato su LinkedIN un post assai risentito in cui attaccava la giovane recruiter responsabile della ricerca, con toni poco politically correct, senza però mai scadere nel volgare o direttamente nell'offensivo. Ne è scaturito l'inevitabile ricco scambio di commenti.
Attestazioni di solidarietà:
- "Capita spesso anche me",
- "Consolati, a me è capitato ben di peggio!"
Esercizi di facile ironia:
- "Almeno la retribuzione era commisurata all'esperienza maturata?",
- "Quanto è brutto scoprire che per fare un lavoro serve il know how",
- "Lei immagino non abbia mai sbagliato, vero?"
Espressioni di inutile qualunquismo:
- "[I recruiter] Sono carne da macello",
- "La triste realtà è ben oltre le peggiori paura [sic]",
- "Cercano di acquisire figure professionali apicali ma puntando al ribasso".
L'acceso dibattito ha proposto però anche alcuni altri spunti di riflessione sul tema del titolo invece più interessanti, che ho voluto evidenziare, raccogliere e organizzare nei paragrafi che seguono.
Poverina vs superficiale
Innanzi tutto, come facilmente prevedibile, i commentatori si sono polarizzati sulle due posizioni contrapposte più tipiche. Da una parte il drappello a difesa della giovane recruiter:
- "A 25 anni si può sbagliare, anzi probabilmente si deve sbagliare perché si ha tutto il diritto di farlo",
- "#Umiltà [sic] sempre con tutti e chiunque nella vita può sbagliare, siamo esseri umani non robot",
- "Si sa che all'inizio chiunque un minimo sbaglia, apprendendo dai propri errori sul campo".
E tra questi anche il Recruitment Manager, responsabile diretto della giovane collaboratrice, che si è prodotto in una rara e, in vero, encomiabile presa di posizione a tutela della lavoratrice.
Dall'altra invece i censori schierati contro un'azione poco professionale:
- "Se vuoi fare la recruiter nel campo (omissis) devi sapere almeno in generale quali sono i vari tipi di lavoro per cui ti troverai a fare le selezioni",
- "Poi capisco che se la gente comincia a lamentarsi troppo della superficialità e della mancanza di professionalità dei recruiter il lavoro vi si complica",
- "Se il dentista ti devitalizza il dente sano al posto di quello cariato voglio vedere se gli dici: Dottore non si preoccupi può capitare",
- "Purtroppo di superficiali ne è pieno il mondo".
E tra questi chi faceva direttamente riferimento a una questione di metodo:
- "Non credo all'inesperienza o all'errore individuale. Per me è semplicemente il modus operandi",
- "Non è un tema di errore che può capitare a chiunque a qualsiasi livello, qui si tratta di rigore e metodo che, evidentemente, vanno affinati. E anche lei che è il suo capo (...) sarà meglio si interroghi [su] quali strumenti mettere a disposizione della sua collega, perché da questo inciampo possa trarre i più utili insegnamenti per il futuro",
- "Non sono errori, è solo superficialità. Si capisce quando è un errore e secondo me non è questo il caso. In questo caso la pratica è semplicemente quella di sparare nel mucchio",
- "SPAMMARE [sic] a caso è stata istruita in quel modo da qualcuno",
- "Pesca a strascico",
- "Il recruiter usa la tattica 'ndo cojo cojo",
- "Pare che ormai la selezione del personale si possa fare solo ricercando keywords",
- "La logica del quantitativo vs. qualitativo",
- "L'invia a tutti [sic] è una pratica molto economica ed anche purtroppo efficace se si cerca personale non troppo qualificato o settoriale",
- "(...) confidando che per la legge dei grandi numeri prima o poi quello che gli fa guadagnare la fee lo trova".
Un curioso punto di accordo
Il tratto comune su cui però entrambe le posizioni appena esposte curiosamente si incontrano è la necessità della conoscenza del settore in cui si è chiamati a operare:
- "Sa a 25 anni con pochissima esperienza in un settore complesso e variegato come quello in cui operiamo non è semplice aver già acquisito le competenze necessarie per distinguere tutti i profili professionali",
- "È il problema del background di chi fa selezione del personale, che tipicamente viene da percorsi di sociologia/psicologia/filosofia e che non ha una comprensione del mercato (omissis)".
Espresso in altri e – diciamo – più sintetici termini:
- "Non lo sanno nemmeno loro quello che cercano!"
È un fenomeno bizzarro questa convergenza che però la dice lunga – mi pare – sullo stato confusionale in cui versa (buona?) parte del settore HR. Quanto meno la parte a cui gli autori di questi commenti fanno riferimento.
Come si risponde?
Un altro tema che ha sollevato interesse è riferito alle possibili repliche da inviare a "Una proposta di lavoro completamente sballata come quella in questione". Ancora due posizioni diametralmente opposte. Un atteggiamento più accomodante:
- "LinkedIN da modo con un semplice clic di declinare il messaggio",
- "Per quanto mi riguarda, non mi dà fastidio, anzi è anche interessante leggere proposte di lavoro anche se spesso non proprio pertinenti".
Oppure un piglio più interventista:
- "Inizialmente li ignoravo, ora sono decisamente più dura e glielo faccio sempre notare che non è carino intasare la posta di qualcuno con dello spam senza senso su un social utilizzato per lavoro",
- "Ho preso l'abitudine di rispondere per le rime a questa gente. Suggerisco di fare altrettanto, magari capiscono che devono cambiare mestiere o metodo" [torna la questione del metodo],
- "C.G., probabilmente il suo esempio è da imitare: se tutti cominciassimo a segnalare quanto è ridicolo questo approccio (immagino capiti a molti di noi) qualcosa potrebbe cambiare".
Onestamente, io non so bene quali parti prendere. Una certa deformazione professionale (tra le altre svolgo anche attività di docenza) mi fa propendere per il secondo approccio anche se, ben più di una volta, ho sì declinato con un educato click ma pronunciando tra me e me un bel "vaffa", senza troppi riguardi per chicchessia.
Employer Branding
Un ultima questione che ha trovato spazio tra le parole dei commenti è legata a quanto la qualità espressa nel processo di selezione possa essere un indicatore generale del clima in azienda.
- "Ormai sono giunto ad una conclusione: un'azienda si qualifica dal suo HR: se questo punta al potenziale di una persona, allora l'azienda è seria; se invece ragiona a checklist, allora meglio evitarla",
- "(...) il recruiting, che fondamentalmente rappresenta un po’ lo spartiacque di quello che nel tempo potrebbe generare un team di persone qualificate all’interno di un’azienda piuttosto che la raccolta differenziata di esemplari spacciatisi per guru ma che tali non sono, non prevede un processo di verifica nel tempo del proprio lavoro… ma viene ripagato solo del numero di new hire… e questo lì [sic] autorizza a pescare nel mucchio come automi!"
- "(...) auspicavo un albo della professione",
- "Il lavoro non qualificato è un problema. Basterebbe fare più formazione interna all'HR perché decodificasse le professionalità interne e quelle richieste sul mercato".
Un tema, questo dell'Employer Branding, molto interessante che si ricollega, in senso più ampio, al valore qualità del lavoro. Sempre considerando però che chi cerca lavoro spesso non può andare troppo per il sottile. Si trova cioè nelle condizioni di dover accettare qualsiasi proposta riceva e quindi poi eventualmente a dover fare buon viso a cattivo gioco per tutta la vita. O, nella peggiore delle ipotesi, fino a quando non viene malauguratamente ancora licenziato ed è costretto a ricominciare tutto daccapo. A quel punto però con l'aggravante dell'anzianità. Ma questa è tutt'altra storia. Un'altra brutta, brutta storia.
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