Marketing nella complessità

15/03/2021 12:21

Durante il Pleistocene l’impresa era orientata alla produzione. Dopo la Seconda Glaciazione, come sa chiunque abbia anche solo una minima infarinatura di studi economici, si è passati al cosiddetto orientamento alle vendite. In tempi non sospetti, il marketing ha reso la vendita una scienza – con la segmentazione, il posizionamento, il marketing mix ecc. – per diventare poi più aggressivo e, in anni ormai remoti, esercitarsi a indurre il bisogno prima di prodigarsi a soddisfarlo.

Con l’avvento dell’era contemporanea il marketing è diventato 2, 3 o 4.0 (a seconda delle scuole) e, attraversando le successive fasi del Marketing Relazionale, del Conversational Marketing, del Micro Marketing, del Digital Marketing, dell’eMail Marketing, del Big Data Marketing, del Buzz Marketing, del Community Marketing, del Viral Marketing, del Search Engine Marketing, del Phygital Marketing, dell’Experience Marketing, del Vattelappesca Marketing, ha compiuto un significativo passo in avanti. Oggi arriva a offrire «...soluzioni che realmente servano all’individuo» (ho sentito per la prima volta questa espressione da Emilia Garito, curatrice di TedX Roma e fondatrice di Quantum Leap IP). L’asse dell’attenzione nell’impresa moderna si è cioè spostata da un’opportunità commerciale a una questione etica, direi quasi filosofica.

Chi decide le strategie non si limita più a intercettare il bisogno (espresso o inespresso che sia) e a indirizzare l’impulso di acquisto verso il proprio prodotto ma ha anche – diciamo così – l'obbiettivo di offrire il prodotto “giusto”. Giusto per ogni singolo consumatore. Perché, grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia digitale, il Marketing può contare su opportunità sin ora inimmaginabili. Si pensi soltanto a come il Big Data Mining, le metriche, l’Intelligenza Artificiale e gli algoritmi di Deep Learning permettano di:

  • instaurare un rapporto bilaterale con clienti e prospect e quindi di approfondire (sempre più nel dettaglio) la loro conoscenza;
  • generare, attraverso un processo multicanale, relazioni continuative tra consumatore e brand (collegando personalità, interessi e desideri con valori, vision e mission);
  • personalizzare one-to-one l’offerta (promozione, prodotto e follow-up) in maniera selettiva e sartoriale.

Quindi, se un tempo ero io a controllare il marketing, esercitando una resistenza alla tentazione dell’acquisto, oggi è il marketing a controllare me. Conosce ogni aspetto della mia personalità e sa perfettamente come insinuarsi tra le maglie dei miei desideri e dei miei “bi-sogni”. Contro questa seduzione ritagliata meticolosamente sulla mia "Persona", la volontà non è che un’arma spuntata.

 

Però...

  • Però, se fosse davvero così, allora non mi troverei il browser pieno di pubblicità del Prostamol e dei montascale: la piattaforma sa perfettamente che ho soltanto 55 anni e che sono fuori target. Quindi l’algoritmo deve ancora affinare il proprio operato.
  • Però da sempre si attribuisce un potere rilevante ai contenuti veicolati dai media sulla formazione e l’orientamento dell’opinione pubblica. Quindi dell’algoritmo non si può sottovalutare l’azione.
  • Però, il consumatore è diventato critico e consapevole, impegnato in un consumo sostenibile, solidale e responsabile. Quindi, almeno sul piano teorico, si suppone in grado di decidere quali soluzioni realmente gli servano, qualunque cosa ne pensi l’algoritmo (e gli uomini di marketing).

È l'effetto palla di neve: tutto diventa sempre più difficile, insomma. È un mostro che si autoalimenta e che si autogratifica: per affrontare la complessità creiamo ulteriore complessità. È un vortice in continua evoluzione che ci ipnotizza; è un’iperbole di termini suggestivi che ci entusiasma. Il Branding e l’Experience, il Customer Journey e la Loyalty, la Gamification e l’Engagement sono i mattoni con cui stiamo costruendo la nostra torre d’avorio.
Mi sento prigioniero di un circuito autoreferenziale, mentre "là fuori" la gente, i clienti sono molto probabilmente più interessati a un buon prodotto che a mettere Like su un post di Facebook o a commentare una fotografia su Instagram.

Resto fedele al buon vecchio Kotler e alle sue 4 "P", in cui la prima era appunto "prodotto".

Ho deciso, cambio strategia: smetto di impiegare tempo e risorse per tutto questo marketing, realizzo un buon prodotto, lo propongo a un prezzo fortemente concorrenziale (risparmiando su tutti i costi relativi alle voci di cui sopra mi garantisco comunque ricavi sufficienti), disegno un packaging che non dia proprio l’impressione di primo prezzo fin da subito e organizzo una buona distribuzione – su quella sì che ci spendo un po’. A me, in fondo, basta soltanto un po' di sano passa parola, ma se volete chiamarlo Word-of-Mouth Marketing fate pure.

 

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