Lavoro agile. Come perdere l’occasione
Ma te... sei in Smart Working o in tele-lavoro? Perché se lavori a casa, dalle 9 alle 18, con il PC sul tavolo della cucina, quello non è Smart Working, è tele-lavoro. Non diventa Smart Working nemmeno se usi il cloud e fai le videoconferenze con Micorsoft Teams. È e resta tele-lavoro.
Ma allora, esattamente, che cosa si intende per Smart Working?
Ah, è presto detto, basta fare riferimento alle due leggi che ordinano la materia: la 81/17 per lo Smart Working e la 191/88 per il tele-lavoro e il gioco è fatto.
Però non è questo che mi interessa ora: io vorrei capire piuttosto che cosa intendiamo noi, per esempio qui su LinkedIN, con il termine Smart Working. Qual è il sentiment dei professionisti.
I post con #smartworking, che l'algoritmo sceglie per il mio feed, possono comodamente essere divisi in 6 categorie principali:
1. Selfie compiaciuti
(quanto sono bello/a, quanto sono bravo/a)
Foto di gruppo con PC, mouse, smartphone, tazzona di caffè all'americana, portapenne, bambino che disegna o gatto acciambellato. Sullo sfondo una libreria.
#iorestoacasa
2. Comunicati aziendali auto-celebrativi
(quanto siamo belli, quanto siamo bravi)
Proclami venati di vetusto machismo che, al grido di “siamo più attivi che mai” o "rallentiamo ma solo per ripartire con slancio", annunciano l’impavida volontà di sostenere l’ecosistema dei partner anche davanti alle prove dure e inaspettate che questo difficile momento impone.
#dittapincopallononmolla
3. Manuali di sopravvivenza allo smart working
(preparàti all'oggi)
Consigli elementari che lasciano perplessi più che illuminare.
- Riprodurre un orario d'ufficio anche a casa (…ma non era Smart Working?)
- Crearsi in casa uno spazio separato, dedicato solo al lavoro: uno Smart Office (…ma non era Smart Working?)
- Sviluppare un proprio Smart Dress Code: lavorare in pigiama ostacola l’attitudine professionale (…ma allora che cavolo di Smart Working è?)
- Pianificare la giornata, definire obbiettivi e tempistiche, dando priorità ai compiti più complessi (…ma si fa solo quando si è in Smart Working?)
- Organizzare contatti regolari con colleghi, collaboratori e clienti attraverso gli strumenti digitali (…ma prima dello Smart Working mica eravamo tutti dei gran misantropi... O sì?)
- Fare delle pause durante la giornata per ricaricarsi (...ma adesso che sono in Smart Working me lo dici? Dov'è la macchinetta del caffè? Dove sono i colleghi? In chat? E che tristezza!)
#andràtuttobene (con o senza accento)
4. Gratuità commerciali
(CSR in salsa Covid)
Offerta di materiali didattici e servizi di varia natura consulenziale a titolo gratuito, accolta e acclamata a furor di popolo come fulgido esempio di generoso e disinteressato contributo al superamento della crisi, mentre in realtà si tratta – giustamente! – di operazioni promozionali per la raccolta di dati sensibili e la generazione di lead.
#micateladogratis
5. Trattati di futurologia
(preparàti al domani)
Florilegio di espressioni colme di belle parole di moda, una prosopopea seduttiva e traboccante di buone intenzioni ma del tutto priva di indicazioni concrete e prescrittive. Da "nuova filosofia manageriale" e "de-costruzione organizzativa", passando per "antifragilità", "infosfera" e "resilienza", fino all’inevitabile "cambiamento epocale".
#nonsitornaindietro
6. Lamentazioni nostalgiche
(come si stava meglio quando si stava peggio)
Geremiadi reazionarie sul ruolo dell’ufficio come naturale luogo di incontro e collaborazione. Sulle liturgie del Travèt: dal traffico in tangenziale alla coda per timbrare il badge a fine turno. Sul desiderio di tornare finalmente dietro la propria scrivania come – udite! Udite! – anche i ragazzi ora desiderano tornare dietro i banchi di scuola. #saràbellissimo (con o senza accento)
Consapevolezza e coraggio
A prescindere dalla facile ironia che si può fare, e che abbiamo fatto, sono le due ultime categorie di post a darmi più da pensare, a preoccuparmi in un certo senso. I “Trattati di futurologia” brillano per autorefernzialità e le “Lamentazioni nostalgiche” remano contro l’evidenza. Il sentiment che emerge, indica l'assenza di una consapevolezza, di un progetto, della volontà di sfruttare, con un ottica a lungo termine, questa inattesa e potente spinta all’innovazione. Sembra mancare il coraggio, in altri termini l’autorevolezza, per assumere una posizione netta nei confronti di questi temi e per sfidare un ambiente ostile all’adozione di programmi e progetti aperti a forme ancora inedite di rapporto tra impresa, lavoro e mercato.
Ci sono i presupposti per temere che il graduale processo di ritorno a condizioni di vita “normali” si accompagni a un analogo progressivo, lento ma inesorabile, ripristinarsi dello status quo ante. Il recupero di quella condizione che, inadeguata alla crisi in corso, sarebbe in prospettiva un freno all'innovazione.
Purtroppo, il proverbiale “Abbiamo sempre fatto così” incontra grande favore presso ampie sacche di resistenza. Si pensi soltanto a tutto quel management affezionato al controllo “qui e ora” e alla formula “presenza fisica e controllo visivo”, in cui riconosce la massima espressione del proprio potere direttivo.
Gli ottimisti però sostengono che la nostra capacità di adeguarci a nuove condizioni è superiore alla nostra capacità di comprenderle. Basterà quindi un manipolo di imprenditori illuminati – gli eroi del capannone accanto – che si assumano la responsabilità di dare a tutti il buon esempio, di dimostrale la validità anche economica di precise scelte, per avviare la svolta. Speriamo che abbiano ragione.
Leggi anche: Work-life balance utopia (in lingua inglese)