La musica e l’algoritmo del piacere
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Corrado Calza | giornalista | content | #musica | #streming | #intelligenzaartificiale | #iocomunicando
Raccolgo la disperata confidenza di un amico talentuoso contrabbassista jazz, diventato per ovvie e tristi necessità professore di musica alle scuole medie. «La musica (non usa la parola musica...) che ascoltano i miei ragazzi è tutta uguale!» Mi dice e io ripenso allora a una scena che sicuramente abbiamo visto tutti chissà quante volte.
Multisala di una qualsivoglia più o meno grande città. Termina lo spettacolo preserale. Gli spettatori scemano verso l'uscita. In testa a tutti una spettatrice, la chiameremo Giovanna. Non più giovanissima, colori chiari e fisico sportivo, scappa a casa dove la aspettano un marito, due figli e una cena da finir di preparare. Il suo “pomeriggio libero” è giunto al termine. Infila una delle cinque porte a vetri dell'uscita, quella centrale, e una volta sul marciapiede, gira a destra e se ne va per la sua strada a passo svelto.
Dietro di lei, attraverso la stessa porta a vetri centrale, passano uno, due, tre, quattro, cinque... Altri spettatori (o spettatrici), finché non si forma il consueto “tappo”: la coda all'italiana, dalla caratteristica forma a imbuto. Istante dopo istante, l'assembramento raggiunge dimensioni considerevoli fino a quando, dal fondo, uno spettatore che chiameremo Giovanni, abbandona il gruppo per avviarsi in solitaria verso una qualsiasi delle altre quattro porte che si aprono nella parete vetrata dell'uscita. È poco più giovane di Giovanna, veste in modo potremmo dire anonimo, comunque molto lontano dalle prescrizioni del moderno e, anche lui, deve filare a casa perché qualcuno lo aspetta per capire cosa mettere in tavola per cena.
Nella sua “fuga”, Giovanni è inseguito dal biasimo degli altri spettatori (o spettatrici) a cui la mossa non è sfuggita. Nel loro intimo scuotono la testa scoraggiati e infastiditi: «Ma dove crede di andare quello lì?» «Si crede più furbo degli altri?» «E secondo lui siamo tutti scemi che stiamo qui in fila?» Lui invece è soprappensiero: «Gli hamburger surgelati sono finiti o ce n'è rimasti ancora un paio?»
La porta che Giovanni cerca di aprire però è chiusa. Il malcontento degli altri spettatori (o spettatrici) trova così conferma alla prova dei fatti e tutti se ne compiacciono. Lui invece si gira verso l'area della biglietteria dove incontra però solo i totem per l'acquisto “self” dei biglietti e la domanda: «Ma perché c***o su cinque porte ne aprite una sola?» gli muore nello sguardo.
Invece no, la porta che Giovanni spinge per uscire si apre e le reazioni degli altri spettatori (o spettatrici) variano dal: «Ah, è aperta anche quella porta lì? Vabbè, dai, oramai sono qui, non c'ho voglia.» Fino al: «Ah, è aperta anche quella porta lì? E io me ne sto qui come un cretino (una cretina) a far la fila con gli altri per uscire tutti da una porta sola? Complimenti!» Che, in versione più autocritica, indulgente-con-se-stesso, io-ne-so-di-sociologia suona più o meno: «Ah, è aperta anche quella porta lì? E noi stiamo qui tutti in fila come dei pecoroni per uscire dalla stessa porta che ci ha aperto il primo? Il capo branco?»
Da quel momento, l'ordine – naturalmente sempre declinato “all'italiana” – si trasforma in caos. Il gregge si apre a ventaglio e l'imbuto diventa estuario. Risultato? Ingresso sgombro in tempo record, con tutti che si ripromettono: «La prossima volta non mi faccio fregare.»
My name is Intelligence, Artificial Intelligence
La statistica applicata alle scienze sociali ci insegna che, date determinate condizioni, maggiori sono le occorrenze di una certa reazione (o evento), maggiore è la possibilità che questa certa reazione (o evento) si ripresenti nuovamente al ripresentarsi delle medesime determinate condizioni. In parole povere, se i totem per l'acquisto “self” dei biglietti nel nostro multisala potessero parlare, ci confermerebbero che la scena di Giovanna e Giovanni capita tutti i giorni a ogni proiezione. Immancabile e immutabile.
Detto in altre parole, così funzionano, almeno in parte, gli algoritmi di intelligenza artificiale che decidono, tra il molto altro, anche quali contenuti far apparire in primo piano durante le nostre peregrinazioni sul web. Se ieri Giovanni ha consultato il catalogo Lamborghini e oggi quello di Maserati, allora io (Intelligenza Artificiale) domani gli faccio vedere il video dell'ultimo modello di Pagani o di Bugatti. A lui farà piacere e io mi guadagnerò per qualche secondo in più la sua attenzione, che oggi è moneta assai preziosa. Se poi la geolocalizzazione mi dice che ieri il suo cellulare ha trascorso un certo lasso di tempo vicino al cellulare di Giovanna e oggi pure, allora mi sento autorizzata a pensare che tra i due ci possa essere una qualche comunione di interessi e quindi, alla prima occasione, mostrerò a Giovanna il video promozionale dell'ultimo restyling di una bella city-car. Sì lo so, sono sessista, ma non è colpa mia se la maggior parte degli uomini si comprano il SUV e la maggior parte delle donne invece prediligono il “Segmento A”.
Io sono statistica, numeri, percentuali. Delle eccezioni io non so che farmene. Più i dati sono uniformi, più è facile per me elaborarli. Più vi mettete tutti in fila per uscire da una sola porta, più sono contenta. Anzi, il mio obbiettivo ultimo è proprio quello: farvi uscire tutti dalla stessa porta e scongiurare quanto più possibile la comparsa di una qualche eccezione.
La complessità è figlia e allo stesso tempo piaga dei nostri giorni e la gente (mi perdoneranno gli uomini di marketing ora che il Big Data Mining permette loro la segmentazione del target in singole “personas”) aspira a un po' di semplicità, accettando spesso e anche volentieri più di qualche semplificazione. È per questo che, in maniera del tutto spontanea, si mettono uno dietro l'altro e passano dalla stessa porta d'uscita che ha attraversato il primo della fila. Perché è più semplice. E allora io sono lì, pronta a fare il mio mestiere: offrire grandi “bolle” polarizzate di valori condivisi, nelle quali riconoscersi e da poter ergere quale vessillo della Verità.
Mahmood o Bruce Springsteen?
Tornando all'amico disperato ma talentuoso contrabbassista jazz, quanto detto sin ora vale anche per i gusti musicali. Oggi, nei più giovani, l'ascolto è quasi esclusivamente legato alle piattaforme Social o di streaming onLine: da Youtube a Spotify, che vengono gestite anch'esse da sistemi di Intelligenza Artificiale. Quindi, se oggi scegli Sfera Ebbasta, Ghali e Achille Lauro, domani nella tua playlist ti troverai inevitabilmente Mahmood o Blanco o Salmo. La stessa musica, la stessa “bolla”, la stessa porta a vetri per uscire dal cinema e l’algoritmo gongola.
Ma attenzione! Perché la stessa cosa vale anche per noi “più anziani”, che ci siamo convertiti ad Apple Music, ma solo per comodità! Nel nostro cuore, infatti, c'è spazio per un solo tik-tok: quello dei graffi sul vinile. Se però sul cellulare continuiamo a “far girare” Duran Duran e Cocteau Twins, sarà difficile che nella nostre playlist un giorno, come per magia, compaiano Bruce Springsteen o Neil Young. Viviamo anche noi nello stesso mondo in cui “chi ha comprato questo ha comprato anche quell'altro”. Noi anziani però i nostri gusti musicai ce li siamo già formati e anzi col passare del tempo, in genere, troviamo le musiche "moderne" sempre più difficili da comprendere e apprezzare.
I giovani invece – continua l’amico talentuoso contrabbassista eccetera – per scoprire brani nuovi, e quindi allargare gli orizzonti del loro gusto, si affidano alle “tendenze”, che però sono organizzate anch’esse da un’intelligenza artificiale. È un cane che si morde la coda quindi, un paradosso facile da immaginare e i cui risultati, alla fine, sono evidenti e spesso anche scontati. È l’algoritmo che fa il suo mestiere, d’altro canto è lì proprio per quello.
Ma noi esseri umani? Che siamo responsabili di tutto ciò o, in ogni caso, anche solo complici per aver lasciato che tutto ciò accadesse? Genitori, insegnanti, giornalisti, divulgatori, leader d’opinione a qualsiasi titolo… Stiamo facendo il nostro di mestiere? Sarebbe bello un giorno smettere di attraversare tutti sempre la stessa porta che per noi ha aperto il primo della fila. No?
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