La Customer Experience in 10 punti (+ 3)

15/10/2018 14:43

Indice:

  1. Introduzione
  2. Come è cambiato il cliente
  3. L’azienda orientata al cliente
  4. La Customer Experience in 10 punti (+3)
  5. Quanto rende l’orientamento al cliente
  6. Customer Experience e imprese italiane
  7. Commitment e formazione

Attenzione: questo non è un testo formattato SEO. La lettura richiede circa 15 minuti. Il testo è disponibile anche in versione podcast cliccando qui.

 

Introduzione

La diffusione di termini come: Advanced Analytics, Customer Relationship Management, Single Customer View, Customer Engagement, Customer Journey, Strategia Multicanale Customer-Focused, Customer Experience Design ci raccontano quanto – ora più che mai – la relazione con il cliente abbia conquistato un’importanza strategica sostanziale, sia diventata l’elemento centrale della catena del valore e rappresenti il fattore differenziante attorno a cui ruota la credibilità, e quindi la profittabilità, di un’azienda.
Una strategia di business tradizionale oggi non è più idonea a gestire tutte le novità e le possibilità offerte dalle soluzioni digitali. Molte aziende, infatti, stanno rivedendo la loro organizzazione – modelli, governance e policy, tecnologie, sistemi informativi e applicazioni, processi, contenuti e servizi – per riuscire ad allineare al meglio i propri obbiettivi con le aspettative del cliente/fruitore.

Un cambio di cultura d’impresa radicale,

  • che coinvolge tutte le diverse aree e funzioni aziendali;
  • in cui il dialogo continuo e dinamico con il cliente indica le linee guida per l’adozione di un nuovo paradigma che favorisce le strategie di fidelizzazione a lungo termine (a scapito di obbiettivi economici a breve);
  • che riconosce a questa “intimità” con il cliente un valore da mantenere e curare nel tempo.

 

Come è cambiato il cliente

Da una parte il cliente:

  1. rappresenta un bacino di utenza molto più ampio, variegato ed estremamente eterogeneo;
  2. sfugge alle consuete misurazioni e categorizzazioni in base a parametri economici e socio-demografici ormai obsoleti;
  3. interagisce con il brand in maniera variabile non solo attraverso diversi canali e comportamenti d’acquisto, ma anche a seconda dell’età, dell’esperienza, delle aspettative, del mood e del sentiment;
  4. è sensibile, consapevole e attento alle politiche del brand.

Dall’altra, si parla di “self-service revolution”:

  1. i clienti vogliono essere autonomi nella ricerca delle informazioni (ufficiali o UGC) e nella valutazione delle alternative, fino all’atto d’acquisto finale, quindi lungo tutto il percorso, dall’identificazione del problema/bisogno fino al contatto post vendita;
  2. cercano un ecosistema di touchpoint semplice da utilizzare, che faciliti il contatto con il brand, ottimizzato su tutti i canali, in grado di rispondere a ogni domanda e che garantisca un elevato livello di soddisfazione.

Infine i clienti:

  1. chiedono di essere riconosciuti dal brand, da cui si aspettano un’attenta personalizzazione, e di riconoscersi nel brand, a cui chiedono massima trasparenza;
  2. si aspettano un’esperienza “eccezionale” perché, al di là del fattore qualità, sempre più spesso gli elementi collaterali e di contesto, culturali e di narrazione giocano un ruolo significativo nella percezione del prodotto/servizio.

 

L’azienda orientata al cliente

I concetti di produzione di massa e di offerta standardizzata sono ormai ampiamente superati e l’impresa oggi deve saper soddisfare una domanda sempre più personalizzata e mutevole.

1. Avviare il cambiamento
Il passaggio chiave è da un sistema di gestione che conserva del business una visione “statica” e “storica” verso nuove soluzioni che permettono di affrontare la relazione tra brand e cliente/prospect con un’ottica adattiva in tempo reale. La possibilità tecnica di sfruttare le sempre maggiori occasioni di contatto (attraverso strumenti digitali e tradizionali) e di raccogliere informazioni dettagliate relative a intenzioni, interessi e abitudini per ogni singolo cliente/prospect, permette infatti di offrire un’interazione digitale ottimale, soddisfacente, eccezionale.

2. Comprendere la relazione
A monte dell’analisi dell’interazione tra le parti è necessario che l’impresa sia consapevole di dover eseguire alcuni compiti fondamentali, cioè:

  • riconoscere personalmente il cliente/prospect;
  • assecondare e indirizzare le diverse manifestazioni con cui interagisce con il brand, indipendentemente dal canale che utilizza e delle sue preferenze di comunicazione;
  • desumere dalle interazioni in corso il mood e il sentiment;
  • ricordare le esperienze passate e anticipare le esigenze del cliente per interpretare lo sviluppo della relazione.

Elenco banale, forse, ma non sempre scontato.

3. Raccogliere i dati
Tutte le piattaforme di analisi oggi disponibili sono in grado di raccogliere, aggregare e processare i dati provenienti dalle fonti più disparate, ben al di là degli strumenti aziendali tradizionali come Contact Center, ERP, CRM o DWH. Sono allora web, social media, applicazioni mobile, totem, interazioni off-line e data provider terzi il sistema articolato di leve che marketing, vendite e servizio clienti devono saper manovrare per riuscire ad attivare e coinvolgere la clientela. Ben sapendo, inoltre, che qualsiasi disservizio, ambiguità o rallentamento impatta sulla reputazione del brand e del prodotto/servizio, indipendentemente da quale sia il touchpoint interessato.

4. Governare la complessità
Se però questa ingente massa di dati non viene adeguatamente trattata, il rischio è di aumentare la complessità e azzerare i benefici. I sistemi di analisi sono sì dotati di processi intelligenti che gestiscono le informazioni in termini di volume (Big Data) e di estrapolazione della conoscenza (Machine Learning), ma per poter governare davvero la complessità di un sistema eterogeneo – che comprende dati provenienti tanto dall’interno come dall’esterno del perimetro aziendale – è necessario:

  • definire fin dall’inizio quali parametri si intendono considerare ed elaborare;
  • indicizzare le informazioni tenendo presente le gerarchie che rappresentano oggi il mercato e le esigenze che questo esprime;
  • identificare quale tipologia di estrazione si intende eseguire, in funzione delle analisi che si vogliono realizzare e degli insight che si vogliono generare.

 5. Applicare la conoscenza
Una volta che i dati sono stati estrapolati e condivisi, chi ne fa uso deve poterli leggere, comprendere e soprattutto interpretare in funzione del business. Deve poter selezionare quelli di reale di valore, capaci di generare insight rilevanti e significativi – descrittivi, diagnostici, predittivi e prescrittivi –, e quindi in grado di fornire indicazioni utili a massimizzare l’efficacia delle azioni di marketing, vendita e assistenza (pre- e post-vendita).
È quindi una questione di competenze ma ancor più di motivazione.

  1. Le competenze permettono capire come modificare le strategie di business (cioè come attivare, e quando, le iniziative più appropriate su ogni canale, per ogni cliente) in modo da assicurare una Customer Experience ottimale ed eccezionale.
  2. La motivazione (che invece interviene ancor prima, a livello di pianificazione) influenza positivamente la volontà di progettare – o riprogettare – il journey dal punto di vista dei processi decisionali del cliente e quindi spinge a considerare – o riconsiderare – tutte le fasi del ciclo, attraverso una sorta di viaggio a ritroso dalla conversione, attraverso l’engagement che l’ha prodotta, fino al primo incontro con il brand.
  3. L’obbiettivo è riuscire a fornire proposte d’intervento, azione e soluzione nel minor tempo possibile, con sforzi e costi quanto più possibile contenuti.

 

La Customer Experience in 10 punti (+ 3)

La comunicazione sottesa a un progetto di Customer Experience deve essere:

  1. PERSONALIZZATA: quindi in grado non solo di soddisfare le richieste (senza lasciare questioni irrisolte o suscitare il bisogno di cercare ulteriori approfondimenti al di fuori dei canali ufficiali), ma anche di assecondare le preferenze di comunicazione del cliente con un messaggio di marketing dedicato.
  2. CONTESTUALIZZATA: quindi in grado di adattarsi al device in uso al momento del contatto.
  3. UNITARIA/TRASVERSALE: quindi in grado di implementare una strategia unitaria, trasversale a tutti i canali (digitali e fisici) e di saper sfruttare i dati provenienti da un punto di contatto per migliorare un touchpoint differente.
  4. COERENTE: quindi in grado sia di ottimizzare e razionalizzare ciascun canale in base alle preferenze e alle finalità incrociate over-all dei clienti, sia di offrire un ecosistema integrato e completo di touchpoint.
  5. CONTINUATIVA: quindi fruibile con continuità anche passando attraverso i diversi canali.
  6. FACILE/FLUIDA: quindi semplice e intuitiva, ossia in grado di nascondere la complessità della tecnologia che impiega.
  7. UNIVOCA: quindi chiara, ossia non ambigua, per evitare confusione e non generare senso di disorientamento durante il journey.
  8. FLESSIBILE: quindi in grado di adeguarsi e reagire in tempo reale con risposte adattive anche a specifici eventi o singoli comportamenti, su tutto il sistema di touchpoint.
  9. RAPIDA: quindi da un lato in grado di ridurre i tempi di risposta in termini di accessibilità del servizio (pre- e post-vendita) e di acquisto/utilizzo. Dall’altro in grado di accorciare la distanza tra dati ed engagement e di consentire così time-to-market molto veloci.
  10. COMPLETA: quindi in grado sia di integrare tutte fasi del processo d’acquisto, sia di supportare le attività di comunicazione, cross-selling, up-selling, Brand Awareness e Reputation, fidelizzazione ecc...

Concretamente capace di:

  1. CATTURARE L’ATTENZIONE: ossia fornire contenuti digitali dinamici e di qualità affrontando anche, laddove possibile, la dimensione ludica dello shopping: il Gaming e il Retail Entertainment.
  2. ATTRARRE L’INTERESSE: ossia promuovere la ricerca diretta delle informazioni da parte del cliente/prospect, senza però sottovalutare l’importanza anche di azioni volte a migliorare i risultati delle ricerche organiche.
  3. COINVOLGERE IL CLIENTE/PROSPECT: ossia influenzarne le scelte, favorirne l’intenzione d’acquisto e stimolarne la proattività in termini di personalizzazione del prodotto e di Brand Advocacy.

 

Quanto rende l’orientamento al cliente

Valutare la resa della Customer Experience può essere difficile perché troppo spesso le aziende dispongono di misurazioni incomplete, volatili e poco quantificabili, provenienti da piattaforme diverse che ancora faticano a integrarsi. Dati quindi difficili da esplorare e da mettere a fattor comune, che pregiudicano la capacità di comprendere in modo accurato come la domanda del cliente/prospect si manifesta nei diversi canali, e nelle diverse tempistiche, per stabilire quali fattori orientino il Customer Journey e quali reazioni ne conseguano.
Tuttavia, un recente studio KPMG, pubblicato sull’Harward Business Review, dimostra come investire nel Customer Relationship Management e nell’integrazione dei processi possa avere un impatto significativo sui risultati di business e rappresentare un forte vantaggio competitivo. In un mercato sempre più digitale, mobile e social, la creazione di una cultura aziendale customer-focused e di una strategia multicanale diventa la risposta più appropriata alle nuove sfide, non solo tecnologiche, e su questo concorda oltre il 50% delle imprese coinvolte nella ricerca.

Gli esiti di una buona (ri)organizzazione in chiave CX sono:

  1. riduzione dei rischi e dei costi;
  2. aumento dei ricavi;
  3. fidelizzazione della clientela già acquisita e sensibilizzazione verso i valori aziendali;
  4. acquisizione di un differenziale strategico/vantaggio competitivo;
  5. creazione di nuove opportunità di business.

Un altro elenco forse banale ma sempre non troppo scontato.

 

Customer Experience e imprese italiane

L’interesse nei confronti del tema experience è in crescita naturalmente anche nel nostro Paese, ma le aziende si muovono ancora con cautela. Non è affatto facile modificare processi interni consolidati nel tempo e integrare soluzioni innovative che in qualche modo comportano un ripensamento di strategie e obiettivi, anche se sono ormai molto diffuse quanto meno sul piano personale (si pensi alle nostre abitudini quotidiane mobile e social). L’impresa nazionale tende a procedere per piccoli passi, a partire cioè da progetti temporanei, mirati e legati a una richiesta specifica, anche se una soluzione di Customer Relationship Management acquista maggiore efficacia quanto più è integrata nell’intero sistema aziendale.
Chiave del cambiamento – a valle della Vision – resta il forte commitment da parte del top management e la capacità di trasferirlo all’intera filiera, perché l’adozione di strumenti digitali avanzati non crea automaticamente anche spirito di squadra.

 

Commitment e formazione

Tutti i team coinvolti nella Customer Experience – dal marketing alle vendite fino al servizio clienti e all’IT – devono muoversi nella stessa direzione e collaborare in sintonia a sostegno delle iniziative sia per i miglioramenti tattici a breve termine, sia per le iniziative di innovazione strategica a lungo termine. Questo richiede sì infrastrutture tecnologiche di intelligence ma anche, se non sopratutto, figure ibride che abbiano tanto competenze informatiche quanto di business e sappiano condividere le conoscenze provenienti dal mercato con tutti i dipartimenti aziendali.
Un secondo aspetto della questione chiama in causa il tema della Corporate Social Responsability e riguarda tutti quei clienti che vengono definiti ancora “analogici”. L’impresa, sotto il profilo etico, deve fornire a questa parte di mercato un supporto “didattico” volto a migliorarne le competenze digitali, sia sul piano dell’uso degli strumenti di contatto e interazione, che sul piano delle forme di pagamento. Sotto il profilo commerciale inoltre, un’iniziativa in tal senso favorisce l’impresa permettendole di acquisire un vantaggio competitivo non solo nel breve periodo, considerato l’elemento anagrafico dei primi destinatari dei singoli progetti CSR, ma anche nel medio periodo in un’ottica di Brand Transparency.

In ogni caso, bisogna sempre ricordare che la Custormer Experience supera i confini del solo processo di acquisto e si estende alla quotidianità del cliente/prospect. Qui un’impresa ben inserita nel territorio locale può (o meglio deve, come abbiamo visto, a vario titolo e con diversi benefici) investire per indirizzare tutti gli attori e portatori di interesse nella creazione di una Brand Reputation che diventa obbiettivo di business e non soltanto il risultato secondario di un’azione di comunicazione, seppure prodotta con attenzione e consapevolezza.

 

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