In rete sei interprete o personaggio? (...Non è un test)
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Corrado Calza | giornalista | Bauman | Social | identità | cultura digitale
Fate quello che dico ma non fate quello che faccio e, specialmente, non dite quello che faccio!
Dite quello che fate anche se non fate quello che dite e, men che meno, siete convinti di quello che dite.
La rete ridisegna le forme dell'identità, tra desiderio di ostentazione e volontà di omologazione, mescolando tra loro i ruoli di interprete e personaggio, con un elevato rischio di effetti distorsivi.
Pensando a un cantautore, l'immedesimazione dell'interprete con il personaggio è forte. Ciò che dice (scrive, canta, spesso in prima persona) è ciò che pensa davvero. O per lo meno questo è quanto il gioco dei ruoli ci porta comunemente a credere. Tutto l'opposto nel teatro: l'attore, tolta la maschera di Shylock o di Arlecchino, torna generalmente nei propri panni privati. In televisione, invece, il divario assume toni sfumati: tendiamo ad assegnare i valori tipici del programma anche al professionista che ne è al centro. In rete, e in particolar modo nei Social, la questione si fa infine ancora più complessa. Qui la sovrapposizione è totale: l'interprete crea un personaggio che interpreta la quotidianità. Ma la quotidianità di chi? Dell'interprete o del personaggio? Il cortocircuito è chiuso.
L’identità sociale oggi non è più un dato di fatto ma un “compito” – sostiene Bauman –, che con sempre maggiore facilità e zelo svolgiamo all'interno dei nostri profili Social. Post dopo post, status dopo status, traguardo dopo traguardo, sul palco scenico del nostro smartphone va in rete il teatrino della quotidiana rappresentazione di noi stessi a uso e consumo dei nostri contatti.
Essere, avere, apparire, raccontare, testimoniare, rappresentare, confessare e condividere. Tutto si sovrappone. Identità e profilazione o, per dirla in termini assai più accademici, individualità e appartenenza, transitorietà e permanenza si confondono. Riscriviamo il nostro habitat secondo nostri gusti, in base a un “Diritto dei desideri” di nuova generazione, in un qui e ora sempre mutevole grazie alla possibilità di recuperare in qualsiasi momento ogni post, anche il più vecchio, seppellito in fondo alla nostra timeline. È il mezzo che confonde le carte – mentre la memoria corre a chi un giorno sentenziò: “Il medium è il messaggio”.
Tutto accade sempre con grande leggerezza e noncuranza. Eppure, a ripensarci, quanta amarezza leggere sul giornale la notizia del musicista militante che portava i soldi in Svizzera. Che sorpresa sentirsi dire che l'attore ispirato, nella vita privata, è un noto misantropo. Che delusione vedere il conduttore, emblema del buonismo, insultare pesantemente colleghi, pubblico e concorrenti nei fuori onda. Che spavento pensare come, tra i contatti Fb di tuo figlio, quella Federica “17 anni - amo tanto gli animali - sono iscritta al liceo di...” potrebbe non essere ciò che dice, nemmeno lontanamente.
Perché è proprio qui dove il divario tra interprete e personaggio diventa incolmabile che sorgono i maggiori problemi. Quando la parte diventa difficile da sostenere e gli hater tornano a più miti consigli una volta obbligati a incontrare di persona l’oggetto dei propri attacchi; quando i posta-tutto compulsivi, paladini della felicità a ogni costo, il giorno dopo si ritrovano tra le pagine della cronaca nera locale. Mentre noi, genitori, maestri, professori, formatori, giornalisti, blogger, divulgatori, tuttologi, opinionisti e allarmisti di professione, ognuno dall’alto del proprio pulpito, predichiamo ancora una volta la necessità di creare le condizioni per lo sviluppo e la diffusione di una cultura digitale, fatta non solo di conoscenze tecniche, ma anche di competenze trasversali, senza però avere nemmeno lo straccio di un’idea per mettere in pratica questi buoni propositi. Non un progetto né una strategia che vadano oltre la singola e isolata iniziativa temporanea (come obbligare gli studenti di una scuola a rinunciare al proprio – e sottolineo proprio – smartphone per una settimana e vedere l’effetto che fa).
Insomma, tra tavoli di confronto, commissioni di inchiesta e comitati di valutazione, qui si continuano ancora ad accettare suggerimenti.