Il paradosso del colloquio di lavoro

03/05/2021 12:31

Da qualche tempo, ho l’impressione di leggere sempre più spesso post in cui disoccupati o lavoratori insoddisfatti raccontano, anche attraverso aneddoti personali, quello che qui chiamerò il “paradosso del colloquio di lavoro”.
Secondo il paradosso del colloquio di lavoro, davanti al recruiter, più dei dati curricolari, risultano premianti le competenze utili a superare il colloquio stesso. Competenze che non sempre sono quelle necessarie a svolgere poi il lavoro offerto, ma che si rivelano determinanti per un buon esito dell’incontro.

 

L'importanza delle soft-skill

I guru delle risorse umane evidenziano costantemente l’importanza di saper dare una buona prima impressione durante il colloquio di lavoro – ricordando che non c’è mai una seconda possibilità per dare una buona prima impressione (sic). E questa abilità di presentarsi all’altro, in un contesto di selezione, va ben oltre la conoscenza del ruolo e dell’azienda, il rispetto della puntualità, l’uso di un abbigliamento adeguato e quant’altro leggiamo nei tutorial e nei blog delle agenzie di ricerca del personale.
Qui piuttosto entrano in gioco le cosiddette soft-skill:

  • capacità relazionali ed espressive,
  • empatia e leadership,
  • abilità di negoziazione,
  • influenza e persuasione,
  • entusiasmo e motivazione,
  • personal branding, self confidence

Competenze che vanno ad aggiungersi (se non a sostituirsi furbescamente) alle esperienze curricolari.
Nulla di nuovo, sia chiaro. Tutti i post di scontento che leggiamo altro non sono che il prodotto di un malcostume sistemico ormai da tempo, per cui – al netto delle invidie personali – vediamo collocate nei ruoli di maggior rilievo sempre persone incompetenti.

La crescente attenzione nei confronti di questo tema e il diffuso senso di insofferenza che abbiamo l’impressione di sentir montare sono anche il risultato di un mondo del lavoro sempre più “liquido” e smaterializzato, di modelli in perenne ridefinizione e quindi di job position confuse e sfuggevoli. Di briefing tra cliente e agenzia affrettati e ambigui che compromettono la correttezza delle scelte successive.

 

Il ruolo degli ATS

Emblematica di questo stato di cose è la grande fiducia che comunemente si ripone negli Applicant Tracking System: i sistemi di intelligenza artificiale incaricati di una prima scrematura “automatica” delle candidature. Sistemi che però solo in rari casi si spingono oltre la geometrica ricerca di corrispondenze boleane tra le parole chiave contenute nell'annuncio e quelle riportate dal candidato nel suo curriculum. Sistemi incapaci di andare oltre la speculare coerenza tra cv e profilo LinkediIN. Del tutto inadatti quindi a rilevare competenze trasversali come: flessibilità e creatività, pensiero critico e intelligenza emotiva, analisi e gestione della complessità, tenacia e decision making, team work e quant’altro il modo “là fuori” invece, si dice, vada cercando con sempre maggiore frequenza.

In pratica, e per ricollegarsi al paradosso nel titolo, redigere un curriculum in grado di superare questo primo filtro ottuso e severo, che cioè sia in grado di portare finalmente all’incontro con un recruiter, significa essere in possesso di un ancora ulteriore e ormai indispensabile set di soft-skill, estremamente specifico.

  • Gestione delle informazioni contenute o, peggio ancora, non contenute nell’annuncio di lavoro.
  • Capacità analitiche per la ricerca delle keyword davvero rilevanti.
  • Abilità di scrittura, qualcuno azzarda persino storytelling, per la sezione “Profilo professionale”.

Il dato qui più interessante però si riferisce al caso in cui un recruiter, assunto perché ha saputo dare una buona prima impressione più che per le proprie reali capacità, sia incaricato di selezionare un collega che a sua volta conosce “il trucco” più del mestiere per cui si è candidato.
Un caso che configura un paradosso nel paradosso, essendo il caso all’origine del paradosso stesso. Quindi un metaparadosso – per nulla straordinario, anzi all’ordine del giorno – che alla fine lascia disoccupati i disoccupati, insoddisfatti i lavoratori insoddisfatti e le persone incompetenti al loro posto.

 

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