Il nostro ecosistema mediatico soffre di stipsi?
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Corrado Calza | giornalista | content | comunicazione | #cambiamento | #trasformazione | #marketing | #data | #business | #socialmedia | #iocomunicando
Il processo che ha visto i “mezzi di comunicazione di massa” diventare “ecosistema mediatico” si è mosso (e tutt’ora si sta muovendo) lungo due direttrici principali:
- un progressivo allargamento della platea dei temi e degli ambiti oggetto di interesse;
- la trasformazione da riflesso a rappresentazione della nostra immagine e quindi, in senso più generale, da riproduzione della realtà a produzione di pensiero, di espressione sociale e di azione collettiva, di perimetri di comportamento e paradigmi di consumo.
Due processi, questi, caratterizzati da frequenti momenti di contatto e circoli virtuosi in cui si creano interferenze capaci di produrre reciproci rinforzi.
Media nella globalità
Parte importante di un sistema sociale interconnesso sotto il profilo culturale, geografico ed economico, l’ecosistema mediatico avvicina luoghi e culture lontane, porta in centro le periferie, legittima istanze inedite, accoglie argomenti taboo sin ora esclusi dal dibattito, sdogana ideologie incerte e si apre per includere una sempre maggiore varietà.
Ciò nonostante,
- abdica al proprio ruolo di agenzia culturale,
- rifiuta il proprio dovere di elemento motore del cambiamento sociale,
- dimentica le proprie potenzialità di acceleratore della trasformazione.
L’ecosistema dei media agisce piuttosto secondo princìpi e intrecci che rispondono a modelli di business e logiche di mercato proprie e rigorose. Opera un compromesso al ribasso, cerca le risonanze cognitive e applica un Minimo Comun Denominatore secondo la filosofia del one-fits-all. Ci racconta la nostra realtà “allargata” ricorrendo a modelli che deriva da categorie dell’immaginario – mediatico – collettivo, esistenti e già consolidate, che rendono tutto il più possibile somigliante a luoghi comuni.
Media e realtà
Immaginare i media come lo specchio della realtà è un'idea certo datata ma resta comunque una metafora ancora suggestiva per la grande disponibilità a continue nuove interpretazioni. Ebbene, oggi questo specchio si è fatto convesso, deformato e deformante, per abbracciare un orizzonte più ampio. Pensiamo a un grandangolo. Noi tutti ci rivolgiamo a questo oracolo digitale, tascabile e mobile per fare domande e trovare risposte al nostro bisogno di appartenenza in un mondo che continua a cambiare forma.
Ma lo specchio, da palcoscenico dove assistiamo alla narrazione delle nostre esperienze nel mondo, si è fatto attore che interpreta queste nostre esperienze, tanto da contribuire fattivamente alla costruzione stessa della nostra realtà.
La disintermediazione, che i media digitali e Social promuovono attraverso la diffusione dei contenuti generati da noi stessi utenti, ha a sua volta un doppio effetto:
- da una parte incoraggia una chiusura ideologica e arrogante alle fonti ufficiali, competenti e autorevoli, stimolando per contro un’incondizionata apertura alla rete dove cercare conferma alle proprie convinzioni. Dove abbracciare posizioni ampiamente condivise che soddisfano il nostro bisogno di sicurezza e appartenenza.
- Dall’altra, questo stesso processo di disintermediazione, favorisce lo sviluppo della cosiddetta “opinione digitale”, condivisa all’interno delle diverse comunità virtuali e quindi viziata da omogeneità di interessi e punti di vista – a scapito dell’opinione pubblica, “palestra di libera espressione dell’individuo”, caratterizzata da compromesso, trattativa, mediazione e contraddittorio.
È una critica alle Istituzioni questa, spesso polemica e strumentale, che ci porta, come abbiamo visto, a chiedere accoglienza a una comunità dove trovare costantemente esibite tradizioni, simboli e posizioni comuni, abitudini di consumo, processi d’acquisto, esperienze e relazioni condivise.
È qui, proprio in questo punto, che il cerchio si chiude. Quando si comprende che la comunità – la Community, se volete – si raccoglie proprio intorno a quel Minimo Comun Denominatore che il mezzo, come abbiamo visto, applica.
Stipsi mediatica
Fatta eccezione per le eccezioni, che eccezioni sono e tali rimangono, lo scenario è questo e queste sono le regole del gioco. “Il mezzo è il messaggio” diceva Marshall McLuhan, in tempi ormai prossimi a diventare sospetti. Tutto ciò che allora passava in TV diventava TV, così come oggi quello che mettiamo su Facebook diventa di Facebook. La rete funziona cioè in maniera del tutto simile a un organismo: prende i contenuti (messaggi, post, chat, video, dirette streaming, stories, eccetera) e li digerisce, trattandoli esattamente come se fossero alimenti. Cioè li trasforma e li riduce in ricchezza – di nuovo il Minimo Comun Denominatore – per ottenere composti più semplici che è in grado di assimilare: i dati. Più i nutrienti sono simili tra loro, minore è lo sforzo a cui l’Organismo Ecosistema Mediatico è costretto per condurre il processo di digestione.
I dati – normalizzati, comparati e analizzati – diventano in pratica i principi nutritivi necessari all’Organismo Ecosistema Mediatico per capitalizzare e mettere a valore la sua stessa esistenza. I dati si trasformano in informazioni che originano decisioni (fossero anche solo quali pubblicità far apparire durante le nostre navigazioni web) e quindi alla fine business.
Diversamente però da un organismo naturale, l’ecosistema mediatico non sembra aver ancora sviluppato una funzione che lo renda capace di espellere naturalmente – automaticamente – le tossine (fake, istigazione alla violenza, razzismo…). E allora mi domando: il sistema è ancora troppo giovane e deve crescere e maturare? Oppure siamo noi, allo stesso tempo fornitori, gestori e fruitori dei media, a essere ancora tanto superficiali e allo stesso tempo tanto avidi da non cogliere la miopia di questa visione?
Indicazioni per l’auto-guarigione
Questa però è una domanda per nulla peregrina se è vero, come è vero, che il sistema siamo noi.
Allora a tutti i noi che siamo superficiali, suggerirò un “approccio ecologico” ai media. Così come stiamo imparando a essere più attenti con i nostri rifiuti, in primis attraverso la raccolta differenziata, nella stessa maniera potremmo (o meglio, dovremmo) prestare maggiore attenzione al nostro rapporto con i media. E a tutti i noi che invece siamo avidi, ricorderò quanto il Poeta canta nel quarto cerchio del suo Inferno.
Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa / e d’una parte e d’altra, con grand’urli / voltando pesi per forza di poppa. / Percoteansi ’ncontro; e poscia pur lì / si rivolgea ciascun, voltando a retro, / gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?»
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