Il lavoro è una questione di eccellenza
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Corrado Calza | giornalista | formazione | lavoro | digitale | automazione | eccellenza | vegan | celiachia | #iocomunicando | #noSEO
Rientro a casa a piedi, poche centinaia di metri dalla fermata della Metro; nonostante l’ora tarda fa ancora abbastanza caldo. Birra ghiacciata dal “bangla” o un bel gelato artigianale? Vada per la seconda opzione.
Mentre scelgo i gusti, mi cade l’occhio su un cestino appoggiato sopra il banco frigo. Contiene dei coni confezionali singolarmente e la targhetta recita: “Coni senza glutine = 3€”. Sono sensibile al tema perché mio padre è celiaco e io, di conseguenza, “familiare”. Dovrei quanto meno stare alla larga dalle cosiddette fonti di glutine, ma sorvoliamo…
Sulla targhetta è stato anche appiccicato, alla bene e meglio con lo scotch, il logo “Vegan OK”, evidentemente ritagliato da un qualche giornale o volantino. Alzo la testa oltre la fila ordinata di golose montagne morbide e colorate e guardo la gelataia che attende distrattamente la mia ordinazione.
«Ok – le dico – i coni sono senza glutine. Ma i gelati?»
«Ehm… Il fior di latte… Non so...»
Decido di togliere dall’evidente imbarazzo la mia interlocutrice: «Comunque sono “contaminati”.» (È un termine tecnico, ma che dovrebbe comunque essere noto a chiunque si occupa di ristorazione, e che indica la possibilità del glutine – sostanza volatile – di passare da un preparato a un altro all’interno di uno stesso ambiente di produzione o confezionamento).
«Eh, sì. Qualche pezzettino...»
«Pezzettino? – Penso tra me e me. – Siamo messi bene!»
Visto il tenore della conversazione, rinuncio ad affrontare il tema dell’incongruenza del logo sulla targhetta. D’altro canto ho buone probabilità di avere davanti a me soltanto una commessa che fino all’altro ieri onorava il proprio contratto in somministrazione a tempo determinato trimestrale in un outlet di scarpe o qualcosa del genere. Ben peggiore è la responsabilità del titolare dell’esercizio che appiccica etichette a vanvera, sull’onda di questa o quella ultima ossessione dietetica, specialmente quando ci sono di mezzo questioni delicate come le intolleranze alimentari.
Come biasimarlo, però. Il cliente, si sa, ha sempre ragione e se lo vuole: “senza glutine… Biologico… Sì, insomma, vegano… Quelle cose lì, dài...”, allora per non saper né leggere né scrivere – pronti! – glielo si dichiara anche “senza olio di palma”, sebbene sia una (s)mania ormai abbastanza superata.
Ordino, pago e mi avvio verso casa passeggiando lentamente. Mandorla e cioccolato amaro, il contrasto non è affatto male. Ma mi resta il dubbio: quei coni erano vegani o celiaci? O entrambe le cose? Mah…
Ancora una volta, professionalità saltami addosso! È questo il problema, dentro come fuori quella gelateria.
Il mercato, che nella sua forma di meccanismo globale gioca con l’intelligenza, l’efficienza e la versatilità del proprio sistema, punta al contenimento dei costi e al ribasso del prezzo finale.
Il cliente, che non dispone sempre di tutte le competenze necessarie per cogliere le singole specificità all’interno di un’offerta sovrabbondante, si è ormai rassegnato a un servizio ridotto ai minimi termini e ha sviluppato un approccio “fai-da-te” all’acquisto, che spazia dalla ricerca sistematica di informazioni nelle fonti UGC (minoranza dei casi), all’azione d’impulso (maggioranza dei casi).
L’azienda Italia, sistema diffuso di piccole e medie imprese che faticano a fare rete, non ha vita facile in uno scenario simile e la salvezza resta quella caldeggiata da sempre e ruota intorno alle consuete due parole chiave: eccellenza e nicchia. Persino l’adozione di soluzioni 4.0 viene interpretata, coerentemente e consapevolmente, in chiave qualitativa più che quantitativa, cioè non per razionalizzare la produzione ma per intervenire direttamente sulla qualità del prodotto finale. (Vedi a tale proposito l’indagine realizzata dal Laboratorio Manifattura Digitale del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali "Marco Fiano" dell’Università di Padova).
Il contesto locale però non favorisce questo processo e il Paese paga lo scotto della mancanza di una visione unitaria da parte delle Amministrazioni, degli Enti e delle Agenzie istituzionali, di un’ambiguità programmatica, di un’opacità tattica, di una debolezza strategica, della mancanza di una cultura d’impresa e di management e, non ultima, dell’assenza di figure professionali adeguate al livello di innovazione.
La polemica è sì datata, ma si ripresenta periodicamente e mantiene viva la propria attualità ancor più ora in tempi di automazione e innovazione digitale. È urgente, cioè, governare il cambiamento in atto nel lavoro (umano) in termini di qualità, professionalità e specializzazione, per non parlare delle normative. Ed è ugualmente importante governare il cambiamento nell’importanza che questo riveste sia a monte di una produzione come a valle, quindi pre- e post-vendita. Un intervento efficace in tal senso permetterebbe, tra l’altro, di evitare lo stillicidio di imprese, negozi al dettaglio e locali pubblici che chiudono nell’arco di un tempo tristemente breve. (Dato per altro in diminuzione come mostra l’ultimo osservatorio Cerved sui fallimenti, procedure e chiusure di imprese). Mi dispiacerebbe domani trovare chiusa quella gelateria lungo la mia strada. Non so se il loro gelato sia vegano, senza glutine, bio, a chilometro zero o che altro, ma comunque è buono. Guarda caso, proprio il gelato è una delle nostre più popolari eccellenze nazionali.
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