Archive #3: The Future of Social Communications
Gianni Cottardo, president of the Italian Association of Advertising Professionals, Istituto Europeo di Design in Milan, tells us about Pubblicità Progresso. (Originally published on: Solidarietà Come n.183 - 01-08-2003 - Language: Italian)
UN FUTURO DI COMUNICAZIONE SOCIALE
di Corrado Calza
Incontriamo Gianni Cottardo, oggi presidente della Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti, all’Istituto Europeo di Design di Milano in occasione della presentazione del suo libro “Cottardo on advertising” (Franco Angeli), che fa anche un ampio accenno alla Pubblicità Progresso. Approfondiamo l’argomento.
Ma la Pubblicità Progresso funziona?
“Certo che sì. Le cito un dato: fu fatta una ricerca e il 90% delle persone intervistate ha dichiarato che conosceva la Pubblicità Progresso e più in genere la comunicazione sociale, e di questi l’89% ha detto che la gradiva, perché fa pensare e spinge le persone a comportarsi meglio, e che addirittura ne voleva di più.”
Però la comunicazione sociale rappresenta lo solo 0.5% del totale in Italia nell’ultimo trimestre.
“Sì, ma fino al 1971 era assolutamente inconcepibile e per i cittadini, per i consumatori, è stato uno shock vedere che la pubblicità non vendeva solo prodotti: saponette, automobili o margarina, ma che veicolava anche dei messaggi di tipo sociale.
La prima campagna sociale, la prima Pubblicità Progresso fatta in Italia, appunto nel 1971, è stata quella per la donazione di sangue. La cosa importante è stata che, con un buon messaggio, le donazioni sono aumentate del 50%.”
Però, da quanto ho capito, le vostre iniziative non sempre vengono raccolte poi dalla Pubblica Amministrazione.
“L’obbiettivo principale di Pubblicità Progresso è quello di affrontare un tema e tentare di risolverlo, per poi andare dal Ministero competente e dire: questo era il problema, l’abbiamo affrontato e in parte risolto così. Se tu continui a fare queste cose, stai tranquillo che si va avanti. E io personalmente ho dovuto affrontare un vero boicottaggio, sempre nel caso della campagna per il sangue: un Sottosegretario ha motivato il suo netto rifiuto dicendo che il Governo non poteva andare in giro a dire che in Italia manca il sangue. L’unica campagna che è stata poi ripresa periodicamente a spese del Ministero della Sanità è stata quella sull’AIDS.”
E cosa mi dice di tutte quelle campagne in cui un’impresa sposa una causa sociale e devolve parte dei profitti derivati dalle vendite?
“È dimostrato che oggi si ottiene anche un vantaggio di tipo commerciale a entrare nel settore della comunicazione sociale. Per esempio la campagna di Golia Bianca a favore degli orsi bianchi. Una ricerca di Sodalitas, una associazione non-profit gestita da Assolombarda che raccoglie dirigenti e manager in pensione che si dedicano gratuitamente ad aiutare le strutture non-profit a professionalizzarsi, ha stabilito che il 75% degli italiani, a parità di condizioni: prezzo, quantità, e così via, preferisce comprare un prodotto che viene coinvolto anche nella comunicazione sociale.
Ma attenzione: una cosa e la Pubblicità Progresso e un’altra è la comunicazione sociale; non sono sinonimi. Pubblicità Progresso fa le campagne che sono marchiate con la “P”. La campagna di Golia Bianca, invece, è fatta dall’agenzia della Perfetti che è la Selection, poi c’è il WWF che approva o non approva e alla fine riceve il denaro.
Poi c’è anche la pubblicità non-profit, cioè quella che aiuta gli enti non-profit a portare avanti la loro attività, a reperire fondi o a trovare volontari. Le campagne del Banco Alimentare, della Caritas o Teleton, che è stato supportata da Vodafon.
E sono gratuite anche queste campagne?
Nei limiti sì, o ampiamente scontate: un pagamento simbolico. A meno che non si tratti di campagne di fond raising (raccolta fondi n.d.r.) in cui magari è richiesta una piccola percentuale per il recupero delle spese di produzione e diffusione.
Jean-Guilhem Lamberti, direttore di Publicis Roma, in un’intervista diceva che in Italia la gente spesso privilegia l’aiuto a problemi sociali “vicini” che cioè sono presenti nella propria zona o nel proprio paese. Dal suo punto di vista, le sembra che ora il pubblico sia maturato?
“Le rispondo in maniera indiretta con un altro dato: il numero di volontari disposti ad aiutare il non-profit è in crescita, quindi vuol dire che questo tipo di sensibilità ai problemi sociali sta aumentando. È forse un altro degli effetti della globalizzazione, che avvicina la gente anche a temi sociali, a problemi, come si diceva, “lontani”.
E in questo scenario, in cui a chi è dedito al consumo sfrenato e senza attenzione per le risorse del pianeta si contrappone chi invece sopravvive con uno o due dollari al giorno - e sono più di 3 milioni di persone -, forse la comunicazione sociale, la Pubblicità Progresso, la collaborazione tra profit e non-profit, può rappresentare un possibile passo avanti.”
Pubblicità Progresso fu uno shock anche per la crudezza delle immagini adottate, almeno agli inizi. Lo ha detto in una recente intervista l’attuale presidente di Pubblicità Progresso Alberto Contri: “Oggi invece la nuova pubblicità vuole e deve conquistare un pubblico più raffinato e reattivo, sia nel giudizio critico sia nel senso estetico.”
Un esempio pratico: da una parte la campagna “Razzismo e tolleranza” della stagione 1990-’91, realizzata da Saatchi & Saatchi. Un’immagine forte: un uomo nero crocifisso e parole dure che definiscono il razzista un essere inferiore.
Dall’altra parte la campagna “Aprirle apre la mente” della passata stagione, realizzata da FCB Italia. Questa volta un’immagine più “soft” e retorica: due grandi orecchie tra le quali si leggevano scritte come: “Aprirle apre la mente”, “Le parole riempiono questo spazio di materia grigia” oppure “Più ascolti, più cresci qui in mezzo”. A chiusura di tutti i soggetti, lo stesso slogan faceva da filo conduttore: “Chi ascolta cresce”.