Il Digital Divide è morto. Viva il Digital Divide!
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Certamente capita anche a voi di leggere o di sentire da qualche parte una frase che poi vi rimane in testa perché una rotellina, da quel momento, si mette a girare. Trrr… trrr… trrr… Avete un neurone che continua a lavorare per conto suo alla caccia di qualche cosa che nemmeno voi ancora sapete bene cos'è. Poi un giorno, magari anche dopo diverso tempo, capite il perché e trovate la ragione di quella sottile ma feconda attività cerebrale. Un’illuminazione. A me capita spesso e l’ultima volta è stata leggendo un’intervista a Paolo Landi, advisor – tra gli altri – di Benetton per circa 20 anni.
L’autore del libro “Instagram al tramonto” si domanda: «Quale sarà l’élite del futuro? In passato era selezionata dal digital divide, il divario tra chi è in grado di utilizzare gli strumenti digitali e chi non lo è. Ma oggi la tecnologia è talmente facile che tutti la sanno usare. Allora chi sceglierà la classe dirigente che decide i destini altrui?»
La risposta che io, dopo qualche giorno, mi sono dato è la più semplice e forse proprio per questo la più difficile da trovare: oggi che tutti sanno usare la tecnologia, a scegliere la classe dirigente che decide i destini altrui sarà chi sa usare la tecnologia.
Sembra una piroetta tautologica, ma non lo è e parte dalla constatazione – tanto banale quanto concreta – che solo pochi ancora oggi sanno usare davvero la tecnologia. Non sto dicendo che dobbiamo tutti diventare ingegneri informatici, esattamente come non dobbiamo tutti essere esperti di finanza per investire i nostri risparmi – se vogliamo riprendere una grossa polemica ante-covid. Sto solo dicendo che (tra le altre mille cose) saper usare la tecnologia:
- significa conoscere più dei soliti tre, quattro programmi della propria lavatrice che ne offre almeno una dozzina.
- Significa usare la copia carbone nascosta per non disseminare la rete di indirizzi mail altrui. Significa capire che scrivendo sotto il post si risponde al post e scrivendo sotto il commento si risponde al commento. Non a casaccio, sennò poi non si capisce più il senso della chat.
- Significa non allarmarsi se in uno snippet si legge – chessò – di uno sciopero dei mezzi “oggi”, prima di aver controllato la data di pubblicazione del post.
- Significa sfuggire alla tentazione di conservare il PIN del bancomat nel portafogli insieme con la tessera e di avere per tutto (eMail, Social, Internet Banking…) la medesima password.
- Significa cestinare senza esitazione né rimorsi la mail del sedicente miliardario omanita che offre un “profitable business” o l’eredità da parte di uno sconosciuto parente straniero, previo versamento di un anticipo per le spese.
- Significa saper leggere il dashboard di un CRS e specialmente riuscire a cavarci insight significativi.
- Significa restare calmi se la nuova Smart TV non si accende e, prima di tutto, controllare che la colf non abbia semplicemente staccato la spina elettrica per passare l’aspirapolvere.
- Significa evitare il social login per non concedere libero accesso alla totalità dei contenuti nei propri profili a terze parti che con quei profili ben poco hanno a che fare.
- Significa guardare con sospetto un link etichettato “f**a” (o roba del genere) e vederci in trasparenza la scritta “virus” o "fishing".
- Significa risparmiare ad amici e colleghi l’inutile stillicidio quotidiano di messaggi a base di gattini e cagnolini “tanto carini e coccolosi”.
- Significa non stupirsi della scarsa durata della carica del proprio smartphone se ci si ostina a tenere sempre attive tutte le funzioni che consumano batteria inutilmente (Bluetooth, Wi-Fi, GPS e geolocalizzazione, widget, sfondi animati, app in background, persino la torcia…).
- Significa usare correttamente il congiuntivo e non solo le tecniche SEO.
- Significa altre mille cose…
Sto dicendo cioè che forse sopravvalutiamo l’uomo della strada e il suo livello di conoscenza della tecnologia che maneggia quotidianamente.
Quando però un giorno saremo consapevoli di tutto questo, la tecnologia ci avrà già belli che superati e avrà cominciato ad arrangiasi da sé: le macchine si costruiranno, ripareranno e approvvigioneranno da sole. Le nostre scelte e le nostre abitudini saranno guidate da sistemi algoritmici. I chat-bot nei tempi morti chiacchiereranno tra di loro (e chissà cosa si diranno). Il frigorifero stabilirà per noi la dieta migliore, facendo poi anche la spesa. Le app di traduzione simultanea azzereranno le barriere linguistiche e i sistemi a guida autonoma ottimizzeranno i tempi di spostamento. Domotica e biometrica decideranno la perfetta abitabilità per ogni spazio. E avanti così.
Forse a quel punto, sarà direttamente la tecnologia a scegliere “la classe dirigente che decide i destini altrui”.
Un simile scenario, da sempre, si apre a interpretazioni antitetiche. Un approccio distopico che vede l’umanità assoggettata al volere delle macchine, relegata a eseguire compiti di bassa manovalanza e compensata, tra un turno e quello immediatamente successivo, con forme di gratificazione mirate ad assopire la volontà dell’individuo. Un altro approccio invece utopico, e quindi del tutto speculare al precedente, che ci vede a capo di un sistema-mondo totalmente automatizzato, impegnati a eseguire lavori ad altissimo valore aggiunto e, nell'abbondante tempo libero, intenti a realizzare felicemente desideri e aspirazioni personali.
Che alla resa dei conti si avveri l’una o l’altra profezia, ora facciamo finta che poco importi. Fino a quel momento ci sarà ancora bisogno di professionisti: meccanici, commessi, addetti ai rapporti con la clientela, docenti di lingua, dietologi, tranvieri, idraulici, elettricisti e manutentori in genere.
E potrebbe non essere un male, a pensarci bene!
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