I love you Miss Robot
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Corrado Calza | giornalista | content | comunicazione | #robot | #cyberculture | #innovazione | #iocomunicando
Ho preso a prestito il titolo da una canzone dei Buggles (sì, quelli di “Video Killed The Radio Star”) in cui si racconta di umani e robot che convivono e si relazionano tra loro, come dire, a tutto tondo. Un tema presente nella fantascienza da sempre, nella letteratura come nel cinema, dal “Ciclo delle Fondazioni” di Asimov al più nazional-popolare “Io e Caterina” con Alberto Sordi. Un mondo ancora futuro ma in pratica a noi davvero prossimo.
Anzi, in realtà i robot sono già tra noi: nell’industria e, più di recente, nella logistica. Il prossimo passo sarà mettere automi, dotati di fattezze umane, a contatto diretto con il cliente, con l’utenza. Ma anche questo è già tra noi: nei ristoranti per il servizio in sala, negli alberghi per le informazioni ai clienti, così come nei centri specializzati per l’aiuto ai bambini autistici e down o accanto alle persone affette da Alzheimer.
Ti voglio bene
L’essere umano ha la naturale tendenza a proiettare se stesso su ogni cosa, animali e oggetti. Tutti stringiamo rapporti di affetto con i nostri “pet” e – senza scomodare le rubber love doll impiegate nei cyber-postriboli di mezzo mondo che periodicamente vengono aperti segretamente e poi pubblicamente chiusi – anche con gli oggetti che ci circondano. Molti di noi infatti danno un nome alla propria automobile… Un po’ meno all’aspirapolvere o al trapano.
Non è assurdo quindi immaginare che un domani ciò possa avvenire anche con i robot, stante il possibile, probabile, anzi certo crescere del numero di spazi condivisi, in ambito lavorativo, domestico e familiare, e la sempre maggiore diversificazione dei compiti affidati agli automi, fino a realizzare una relazione uomo-macchina molto vicina a quella uomo-uomo.
La cyber-culture
Silicio al posto del carbonio quindi, bit che diventano atomi e algoritmi che prendono forma, si trasformano in materia, realtà ed emozione. Non si tratta di una nuova tecnologia ma di una nuova cultura che considera i robot non come repliche degli umani né come oggetti, ma come una classe di agenti in grado di contribuire a raggiungere i nostri obiettivi. Nulla a che fare quindi con la retorica dei nuovi schiavi – lavoratori che non dormono, non si ammalano, non vanno in ferie e non reclamano i loro diritti – perché sarà difficile considerare come una schiava la nanny bionica che legge la favola della buona notte ai nostri figli.
Un sistema misto
Kate Darling, nel suo recente “The New Breed”, suggerisce proprio di immaginare la nostra futura relazione con i robot come oggi viviamo il rapporto con gli animali. Animali differenti hanno capacità differenti e noi abbiamo dato loro luoghi e ruoli differenti: la mucca nella stalla fa il latte, il gatto sul divano in salotto fa le fusa. Nulla a che fare quindi con la cyber-culture o con la sostituzione dell’essere umano da parte delle macchine o ancora con la nascita di una nuova forma di vita (© Stephen Hawking). Nessuna distopia in via di realizzazione (© Massimo Cacciari), piuttosto un affiancamento delle due “specie” (© Kate Darling).
Il dubbio ci salverà
“Una macchina è intelligente quando è in grado di far credere a un uomo di essere umana”, ha detto Alan Turing, e chi si occupa di Customer Service ha imparato quanto possa dare fastidio al cliente non capire se l’interlocutore sia umano o artificiale. Quindi, per favorire l’integrazione dei robot, è importante programmare le macchine a mimare comportamenti sociali e scegliere forme che le persone possano riconoscere, ma è altrettanto importante che con questi comportamenti e forme non si abbia troppa familiarità. Se infatti poi la performance del surrogato robotico non equivale al modello naturale, le reazioni più spontanee sono delusione e rifiuto.
Fintanto cioè che le macchine si comporteranno da macchine, saremo salvi!
Ci faremo l’abitudine
Nessun intervento di robotomia universale all’orizzonte, quindi. Pinocchio diventa un bambino vero solo nel libro di Collodi e forse, giorno dopo giorno, impareremo a chiedere «Per piacere» a un braccio meccanico o a dire «Permesso, scusate» alla squadra di manutentori-robot per superare il cantiere in corridoio. È solo uno del mille futuri che abbiamo davanti a noi e da cui è inutile difendersi, perché il futuro è l’unico luogo dove possiamo andare. Difficile che piaccia a tutti, ma è facile immaginare che piacerà a molti.
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