I giovani non hanno voglia di lavorare
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Corrado Calza | communications | comunicazione | education | formazione | giovani | lavoro
I dati Istat sulla disoccupazione in Italia nel mese di febbraio e il report Isfol sui deludenti risultati del programma “Garanzia Giovani”, pubblicati di recente, hanno riportato il tema sulle pagine dei giornali e alla mia memoria una chiacchierata con il proprietario di una catena di hotel riguardo la difficoltà di trovare giovani stagisti seri da ospitare. Quando si arriva a parlare di impegno, orari e turni – mi spiegava – ti rispondono: “Eh, ma c’ho il corso di chitarra...” E allora vai, fatti il tuo corso di chitarra che io ne prendo un altro. Solo che non se ne trovano – aveva concluso.
Ovviamente, da qui al proverbiale “I giovani non hanno voglia di lavorare” il passo fu breve.
Eppure c’è qualcosa che non mi torna. Studiare (lavorare o seguire un apprendistato) e frequentare un corso di chitarra non sono (e non devono essere) un’alternativa, per cui o fai uno o fai l’altro. Specie se hai vent’anni. Però, se l’istituto professionale in cui studi prevede anche un periodo di stage e tu, senza pensarci troppo, ti iscrivi a un corso di chitarra che si svolge in orario di lavoro, allora sei poco furbo e in qualche maniera la devi pagare. Ma se al contrario fai le cose per bene e scegli il corso di chitarra anche in base alla compatibilità di orario, allora non c’è ragione perché un datore di lavoro debba rifiutarti lo stage. Specialmente in un caso come questo in cui è prevista la turnazione. Va bene essere sfortunati, ma non è obbligatorio che tutti i turni debbano sistematicamente coincidere con il tuo corso di chitarra, sempre. Ogni tanto salterai una lezione, non è grave. E qualche altra volta chiederai di uscire con quel minimo di anticipo che ti permette di non arrivare in ritardo. Basta un po' di buona volontà per far coesistere le due cose. A meno che i turni proposti non siano farlocchi, come accade purtroppo spesso con buona pace di tutti coloro che, a vario titolo, operano in ambito formazione, apprendistato, avviamento al lavoro eccetera.
Comunque troppe volte, per semplicità se non per faciloneria, il messaggio che passa è che i giovani non hanno voglia di lavorare. È successo, con grande risonanza mediatica, ancora di recente: poco prima che inaugurasse Expo. Titoloni a tutta pagina stigmatizzavano questi giovani colpevoli di rifiutare incarichi che, seppur stagionali, venivano retribuiti in maniera ben più che adeguata, mentre per tutta risposta, i medesimi giovani sui social ridimensionavano questa adeguatezza, postando copie di contratti al limite del ridicolo.
Fermo restando il fatto che lavorare stanca e che non tutti ne hanno sempre tutta ’sta voglia, è anche ovvio però che è più facile – come si dice – sbattere il mostro in prima pagina e scrivere un bell’articolino di costume partendo da uno slogan accattivante e di facile effetto, piuttosto che preparare un’inchiesta e affrontare una questione che tutti ben sappiamo essere complessa e spinosa.
Lo spazio in pagina è scarso, progressivamente ridotto dalla concorrenza più o meno gratuita onLine. Così come il tempo. Poco per chi legge ed è costretto a spalmarlo sugli innumerevoli media che la tecnologia, più o meno mobile, gli mette a disposizione. E poco per resistere alla tentazione di privilegiare tra queste le forme più facili e divertenti. Poco anche per chi scrive che, con quello che ormai pagano a pezzo, ha imparato a ragionare in termini di quantità e non di qualità. E poco specialmente per chi scrive per il web (dove la sintesi è forse più di tutto una questione di diottrie) e che non può permettersi di sopperire alla brevità obbligata con un vocabolario di termini scelti tra i più evocativi per invitare il lettore a un successivo approfondimento “en privé”.
Sì, in somma, alla fine è tutto così complicato che quasi quasi viene voglia anche a me di allinearmi al pensiero comune e dire che è vero, accidenti: i giovani non hanno proprio voglia di fare un ***!