I Big Data secondo Quelo
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Lo scopo nel gioco del marketing è stato sempre quello di trovare le soluzioni più proficue alle domande del mercato, andando a soddisfare i desideri del target e a intercettarne i bisogni non ancora manifesti.
Oggi, con l’invenzione dei Big Data (Big Data Analyst, Big Data Architect, Big Data Developer, Big Data Engineer, Big Data Expert, Big Data Manager, Big Data Marketing, Big Data Scientist...), l’attenzione si è spostata dalle risposte alle domande. Tra modelli computazionali, algoritmi e Intelligenza Artificiale, il marketing sta imparando a interrogare i Big Data. Non per nulla negli ambienti più autorevoli in materia si sente spesso affermare che “Le rispose sono le domande”, quasi una parodia del detto: “Chi più spende meno spende”.
Dissento e mi allineo a chi sostiene la necessità di una sintesi.
Certo, saper porre bene le domande alla nostra immensa mole di dati è necessario così come è necessario a monte avere le idee chiare su cosa si sta cercando. Ma anche saper capire a fondo le risposte è fondamentale. Quando l’oracolo algoritmico ha emesso il suo illuminante responso ci vuole qualcuno che riesca davvero a interpretarlo.
Sembra lapalissiano ma non è sempre così.
Provo a spiegarmi con una metafora linguistica che deriva dalla mia esperienza didattica.
Per intrattenere una conversazione in una lingua straniera, non basta saper fare le domande, bisogna – come si diceva – anche saper comprendere le risposte. Troppo spesso purtroppo le competenze sono sbilanciate – e lo dico per esperienza diretta. Conoscere la grammatica e avere un ampio vocabolario sono condizioni basilari, ovviamente, ma più importante è, in questo caso, essersi esercitati ad ascoltare diverse voci, diverse intonazioni e diversi linguaggi. Per questo motivo i corsi prevedono normalmente l’utilizzo in aula di simulazioni, role-play e materiale audiovisivo. (Anche se un periodo di permanenza all’estero resta, a mio avviso, l’unica soluzione davvero rapida ed efficace).
Inoltre, un eccessivo divario tra capacità espressive e capacità di ascolto tende a complicare ulteriormente la situazione. In un dialogo infatti, gli interlocutori adattano reciprocamente il loro linguaggio in maniera spontanea. Perciò, se l’uno si rivolge all’altro con un buon livello linguistico, riceverà verosimilmente una risposta di pari livello che potrebbe però non essere in grado di comprendere, con conseguenze facili da immaginare.
La stessa cosa può capitare anche con i Big Data
Una domanda ben posta, darà una buona risposta. Paradossalmente anche troppo buona e quindi alla fine inutile proprio perché troppo articolata da esplorare. Capita infatti spesso che le figure professionali inserite nel processo decisionale abbiano alte competenze tecniche ma una limitata visione d’insieme. Molte volte, per ovvie ragioni, sono di giovane età e quindi inevitabilmente ancora prive degli strumenti necessari a cogliere l’intera gamma degli elementi, delle possibilità, degli stimoli, dei suggerimenti, persino delle suggestioni fornite da una tecnologia che, per contro, sanno manipolare con grande perizia.
Mancano cioè delle conoscenze ma, ancor più, della consapevolezza e della responsabilità necessarie per interpretare le risposte, ossia per estrarre gli insight più significativi e tutte quelle informazioni che hanno realmente valenza e interesse, quindi per tradurre il potenziale in capitale strategico al fine di promuovere le decisioni e generare le azioni più appropriate. I dati arrivano senza soluzione di continuità e si aggregano e disgregano in tempo reale: bisogna – per così dire – saper leggere tra le righe, senza farsi sviare dalle impressioni a caldo.
Alla fine, e la ciclicità qui non deve sorprenderci, lo scopo del gioco resta sempre e comunque la ricerca delle soluzioni più proficue alle domande del mercato, che vadano a soddisfare i desideri del target e a intercettarne i bisogni non ancora manifesti. A prescindere dall'impiego di tecnologie più o meno sofisticate.
Troppo facile entusiasmo
Il rischio è infatti quello di farsi abbagliare dalla novità, di lasciarsi contagiare dall’euforia per il nuovo giocattolo pieno di lucine colorate, pensando che basti far entrare in azienda un sistema integrato di Business Intelligence per godere dei vantaggi competitivi riservati al marketing data driven ed essere accolti a pieno titolo nel novero delle imprese innovative. «La tecnologia è empowerment» (diceva Bill Gates) il vero valore dell’IT non è però nella “T” delle tecnologie ma, oggi forse ancora più di ieri, risiede nella “I” delle informazioni e il mezzo non è il messaggio (contrariamente a ciò che sosteneva qualcuno tempo fa), quantomeno non in questo caso.
Le risposte, in conclusione, non sono le domande. Le risposte sono le risposte e le domande sono le domande. Risposte e domande sono i due lati della stessa medaglia ed è solo insieme che danno il giusto valore se, e solo se, sappiamo sfruttare appieno le potenzialità di entrambe. Le risposte sono nelle domande, eventualmente, se proprio vogliamo continuare questa – diciamo – brillante disputa retorica. Ma anche le domande sono nelle risposte, per sottolineare ancora una volta l’importanza di muoversi incontro ai dati con le idee chiare fin dall’inizio.
Mi sembra di essere Quelo: il santone televisivo di Foggia, interpretato da Corrado Guzzanti alla corte di Serena Dandini. Ricordate? Anche lui si dilettava con domande e risposte.
«Ti chiedi: “Come mai?”, ti chiedi: ”Come dove nel mondo?”, ti chiedi: ”Dov'è la risposta?”. Ma la risposta non la devi cercare fuori, perché è dentro di te. Mapperò è sbajata!»
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