Dove vanno a finire i nostri sogni?

06/05/2019 08:29

“I sogni son desideri” è il poetico e degno prequel del detto tutto marchettaro “Il futuro è dove i desideri diventano bisogni”. Già, noi uomini di marketing sappiamo essere davvero prosaici a volte ma, in fondo, è il nostro mestiere e un po’ anche il nostro divertimento. Diamo concretezza e un tocco funzionale a materie astratte ed elevate come la sociologia, l’antropologia o l’estetica. Interpretiamo le abitudini, leggiamo i miti antichi nei riti moderni, cogliamo lo spirito del tempo nelle evidenze culturali e comportamentali e, alla fine, pieghiamo tutto al mero fine utilitaristico di promuovere prodotti e servizi. È così che portiamo a casa la pagnotta.

Desideri e bisogni

Il desiderio – da grande voglio fare l’astronauta – una volta realizzato porta il “desideroso” a un cambiamento di status: il bambino è diventato un astronauta. Il bisogno – ho fame! – una volta soddisfatto riporta il “bisognoso” allo status ante, quindi in pratica a nessun cambiamento. Questa frustrazione, banalizzando, spinge alla ripetizione, al rinforzo del comportamento che ha soddisfatto quel bisogno e alla fissazione, ossia alla reiterazione di quel comportamento anche al mutare delle circostanze. E, se trasformare i sogni in desideri è una tendenza naturale dell’uomo, convertire i bisogni in acquisti è la ragion’ d'essere di noi uomini di marketing.
La pubblicità, come ben sappiamo tutti, indica i modi per la realizzazione del sé. Il marketing, che oggi manovra con destrezza anche le leve dei big data, garantisce prevedibilità e quindi sicurezza alle strategie di comunicazione, in un feroce determinismo algoritmico che castra però ogni aspirazione al “consum’attore” e a tutti i profeti di questo grande inganno. D’altra parte, dice l’uomo di marketing che è me: Se realizzo un desiderio poi perdo il cliente; se invece soddisfo un bisogno ho parecchie possibilità che il cliente mi ritorni. Per contro, il giovane idealista che gli siede orgogliosamente accanto ci ricorda il frammento di una recente intervista ad Alessandro Mendini su La Stampa che, provocatorio quanto lapidario, sentenzia: “L'utopia è una tensione necessaria. (...) Se si pensa solo agli aspetti pratici non si cambia nulla.”

Tecnologia per la semplicità

Un comportamento prevedibile dà sicurezza, nulla di più lapalissiano. Sfruttando un’immagine propria dell’ambito informatico, possiamo affermare che l’ampia gamma di opzioni offerte da un menù a tendina è solo un’apparente libertà di scelta ma che nasconde in sé, paradossalmente, un controllo totale. Fuor’ di metafora, il connubio tra marketing e tecnologia rende il consumatore prigioniero del presente e arrendevole alle lusinghe della propria comfort zone. Il piacere generato dal processo di scelta – andiamo a fare shopping – e dal successivo possesso e uso del prodotto scelto – guarda cosa mi sono comprato –, viene oggi sostituito dalla sola emozione dell’atto d’acquisto in sé. Si passa da una soddisfazione eterodiretta, frutto cioè di un’interazione e di un riconoscimento sociale, a un appagamento onanistico, più semplice – o ancor più semplice – da raggiungere.
Di nuovo un altro processo di banalizzazione – anche se qualcuno potrebbe dire di democratizzazione – a cui le tecnologie cashless stanno dando un impulso significativo, rendendo più facile il momento del pagamento. Le transazioni via Digital Payment, e-Payment, Mobile-Payment, Contactless-Payment, Mobile-Pos eccetera, secondo l'Osservatorio Mobile Payment & Commerce della School of Management del Politecnico di Milano, sono destinate a superare la quota simbolica di 100 €/mld nel 2020.
L’importante è comprare, non importa cosa. L’importante è andare su un sito con una bella gallery da poter cliccare, con un’app da poter scaricare, un carrello da poter riempire, un form da poter compilare, un commento da poter lasciare, un Social da poter seguire, un assistente virtuale con cui poter dialogare, un concorso a cui poter partecipare, uno sconto da poter sfruttare, un'opzione Premium da poter attivare e un store da poter visitare un giorno, dove poter ammirare la schermata del telefonino riprodotta nell’arredamento tutto intorno e dove però scoprire che il commesso non è altrettanto gentile, efficiente e paziente quanto l’assistente virtuale.
Che non sia così facile lo sappiamo bene, ma qualcuno in realtà non lo ha ancora capito davvero. Basta pensare a quanti ancora oggi ci dicono, con superficialità e supponenza, che il marketing è uguale per tutti i prodotti: scatolette di tonno come sistemi audio multicanale. Ecco, con l'Experience funziona più o meno nella stessa maniera. L’importante – dicono certi PM, certi committenti scarsamente illuminati – è giocare. Non importa con che cosa: ci vuole il Gaming, il Marketing Emozionale.

Non basta! Scusate, ma io appartengo alla vecchia scuola, quando le “P” erano quattro e la prima era: “Prodotto”. Credo non ci sia molto altro da aggiungere.

Quanta strada

Ha ragione però chi dice che di strada ne abbiamo fatta tanta per imparare a trasformare i sogni in desideri e in bisogni da soddisfare attraverso il consumo.
Una volta l’imbonitore aveva il proprio grido e tutta sua capacità affabulatoria per attirare l’attenzione nella piazza del mercato. Poi, detta in due parole, la piazza è esplosa diventando villaggio globale. Prima la radio, l’Ente Radio Rurale e la Radio Balilla, perché “...ogni villaggio deve avere la radio”. Quindi la televisione. Il nostro Primo Canale, quello a cui più che a Garibaldi dobbiamo l’unità d’Italia, si dice. E in seguito le televisioni, campanilistiche e targettizzate, e nelle televisioni la pubblicità e tra le pubblicità le telepromozioni, con il grido del venditore che ritorna nel tormentone di Wanna Marchi e l’affabulazione che ritroviamo, in maniera simbolica, nelle modelle ammiccanti sui materassi di Mastrota. Poi ancora il Digitale Terrestre, i canali a pagamento e le piattaforme in streaming, ad aumentare la complessità, e Internet, nella sua versione Social, a trasformare il passaparola in condivisione planetaria.
Ora è tempo di AI, Big Data e Marketing Esperienziale. Tracciamo il cliente con carte fedeltà, App e Mobile, geolocalizzazione e In-Store Tracking. Osserviamo le sue abitudini e i comportamenti d’acquisto, raccogliamo i dati, li confrontiamo con quelli generati dalle sue richieste dirette e li elaboriamo anche in chiave biometrica e di Neuromarketing. In base ai risultati seguiamo e stimoliamo quindi il nostro customer nel suo journey – onLine come nel touchpoint fisico – lungo un processo multicanale che attraversa un ecosistema mediatico partecipativo e collaborativo, esperienziale ed emozionale, diventato adattivo e personalizzato per rafforzarne la capacità predittiva. È il "Market of One" come lo definisce Accenture nella ricerca "Technology Vision 2019" dell'aprile scorso.
Sì, sono d’accordo: di strada ne abbiamo fatta tanta sulle ali dei sogni, è proprio vero. Ma per arrivare dove, di preciso?

 

Leggi anche: La Customer Experience in 10 punti (+ 3)