Disoccupazione: ecco le tre... regole auree
"Non si sa mai". "Per quel che ti costa". "Sempre meglio che stare a casa". Ecco le tre regole auree per vincere la disoccupazione.
Quante volte le hai sentite, come un rosario, snocciolate con aria saccente. Da persone che con le odierne difficoltà legate alla ricerca di un posto di lavoro hanno perso ormai da tempo qualsiasi contatto, beate loro. Persone che, abbagliate da job title a effetto come "Marketing Sociale", si stupiscono se storci il naso alla prospettiva di indossare una pettorina colorata e fermare la gente nelle strade della tua città per cercar di vendere formule associative a organizzazioni più o meno umanitarie, più o meno accreditate.
“Non si sa mai – ti dicono. – Poi magari hanno bisogno di un (assistente al) direttore marketing e tu che hai la laurea sei già lì, conosci il lavoro e quindi sei avvantaggiato.” Inutile provare a ragionare e dire che non funziona proprio così. Puoi solo scuotere la testa sconsolato e annuire sottovoce: "Sì, sì, come no."
“Per quel che ti costa”, ti dicono anche, riavviando inconsapevolmente quel paradossale meccanismo, frutto di un dilettantismo ben radicato nell’attuale mondo del lavoro, per cui da una parte ci sono i cacciatori di teste, siti di job posting, blog, forum, ecc. che insistono sull'assoluta necessità di rendere unica ogni candidatura, da modellare in base all'annuncio, all'azienda e alla posizione, e dall'altra c’è la ricerca pubblicata da una sedicente "primaria azienda leader del proprio settore". E tu in mezzo, senza uno straccio di elemento né di indicazione pratica su come personalizzare il tuo curriculum e, ancor peggio, la lettera di presentazione. Quale azienda? Quale settore? Quale fatturato? Quale mercato? …? Che poi si fa, ci mancherebbe. In qualche maniera, ma si fa. Però, almeno non dite che non costa nulla. Se non altro sul piano dell'autostima!
“Sempre meglio che stare a casa”, infine, è l'argomento più spinoso.
Tralasciamo tutti coloro che "quei" lavori non li fanno e che danno così adito alle ben note polemiche feroci, infarcite di luoghi comuni e molto efficaci nell’inibire qualsiasi tentativo concreto di trovare una soluzione al problema.
Tralasciamo i casi di coppie con bambino in cui il secondo stipendio se ne va tutto in baby sitter (che oggi guadagnano in nero più di molti lavoratori precari in età da figlio piccolo) e per supplire alle altre mancanze di servizi pubblici dedicati.
Tralasciamo gli "inattivi" di professione che vediamo a scadenze regolari penosamente impegnati a gareggiare per il primato contro il numero dei nuovi assunti e le percentuali di disoccupazione giovanile e over 50, in un gioco di statistiche contraddittorie le cui regole ci appaiono oscure e impenetrabili.
Tralasciati tutti questi, chi resta è oggi troppo spesso sottoimpiegato e, specialmente, sottopagato.
Ma la ricchezza ancora presente nel nostro Paese è sufficiente da permetterci, quasi sempre, di mettere insieme il pranzo con la cena e quindi ci trattiene dallo scendere in piazza come invece avviene in altri paesi d'Europa (e immediate vicinanze).
Così, date queste premesse, “Sempre meglio che stare a casa” può diventare persino una questione di dignità. Lavorare non è l'unico modo al mondo attraverso cui un uomo può e deve realizzarsi, specialmente se, come dicevamo, troppo spesso il lavoro offerto oggi è tutt'altro che dignitoso. Per contro, si potrebbe obbiettare e domandarsi, in modo nient'affatto retorico, se sia meno dignitoso accettare un lavoro squalificato e squalificante oppure il ruolo di mantenuto.
In ogni caso, la questione resta di per sé sconfortante, anche perché non si vede la luce in fondo al tunnel. Anzi, del tunnel non si conosce nemmeno la lunghezza, diventata ormai una dimensione variabile, in costante crescita, spinta dalle gaffe sui cervelli in fuga, dal dibattito intorno ai risultati del referendum sul Jobs Act, dalle polemiche sulla riforma dei voucher e da quant'altro media e istituzioni continuano a proporci anche all'inizio di questo promettente, almeno nelle speranze di molti, nuovo anno.
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