FaD, attenzione ed efficienza
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Corrado Calza | giornalista | copywriter | content | comunicazione | dad | fad | #fridaysforschool | #schoolsforfuture | formazione | #iocomunicando
L'aula sembra mancare proprio un po’ a tutti: studenti, maestri, insegnanti, professori e formatori. Insegnare è “…esperienza, incontro e dialogo…” come ebbe a dire il Rettore dell’Università IULM di Milano, presentando il Calendario Didattico 2020-2021, alla fine della prima ondata pandemica. È un fatto di cultura, non è un semplice passaggio di conoscenza.
Che si tratti dell’aula in una scuola, in un’università o in un centro di formazione, di una sala riunioni o di una conference hall in un 5 stelle, oppure ancora della cucina di casa, del proprio ufficio o di uno studio professionale, secondo la letteratura specialistica nel passaggio da presenza a remoto si perdono:
- il contatto docente-allievo e allievo-docente;
- l’uso del linguaggio del corpo;
- la condivisione emotiva degli argomenti;
- l’emozione come ancoraggio mnemonico;
- la dinamica di gruppo;
- il senso di comunità;
- il percorso di inclusività;
- varie ed eventuali.
Tutto giusto, però mi sembra che da queste "varie ed eventuali" troppo spesso venga escluso il tema dell'attenzione.
Io non sono uno psicologo ma sono un formatore e, su questo aspetto specifico, voglio provare a suggerire qualche spunto di riflessione.
La lezione frontale
Chi insegna – per dire – storia o matematica oppure macroeconomia o il Decreto Legge 81/08 sulla sicurezza, adotta una modalità didattica di tipo “frontale”. Si comporta cioè come l’oratore in una conferenza e il compito di mantenere alta l'attenzione dell’uditorio è affidato in gran parte alle sue capacità, potremmo quasi dire al suo carisma. L'impegno richiesto allo studente nel conservare la propria attenzione, non varia in maniera significativa al mutare delle condizioni di fruizione, ossia se in presenza o da remoto.
Per la mia esperienza, posso senz’altro affermare che, nel caso di una lezione così erogata, didattica tradizionale e didattica a distanza presentano vantaggi e svantaggi sostanzialmente equilibrati.
In presenza, le “vibrazioni”, lo sguardo che arriva dalla “platea”, il feedback insomma, forniscono al docente indizi preziosi per calibrare in tempo reale l’andamento della lezione (ritmo, spaziature, modalità di presentazione dei contenuti, interazione con lo spazio, chiamata rivolta ai partecipanti come deiettico della comunicazione tra le parti, eccetera) e quindi mantenere costante l’attenzione dell’aula.
Da remoto, per contro, si è nella condizione ideale per sfruttare al massimo dell’efficienza la multimedialità che gli strumenti tecnologici mettono a nostra disposizione e aiutare così l’aula a conservare alto il livello di attenzione.
Solo per fare uno degli esempi possibili.
La lezione interattiva
Quando la materia oggetto del corso richiede invece una forte interazione tra docente e aula (come, nel mio caso, quando insegno lingua inglese), la generica mancanza di un contesto "appropriato", di un ambiente funzionale, aggrava lo sforzo da ambo le parti. Seguire una lezione all’aria aperta, nella sala mensa di un’azienda oppure da remoto su PC, tablet o smartphone, ha lo stesso impatto in termini di possibile calo dell’attenzione rispetto a un contesto di aula.
Quindi la FaD, intesa come mancanza di un luogo e di un tempo “speciali”, dedicati ed esclusivi, chiusi a tutto il resto, acuisce la difficoltà nel mantenere l’attenzione da una parte e nel conservarla dall’altra.
Durante una lezione di gruppo, in un momento di interazione, quando il docente è concentrato su uno degli studenti – per esempio se banalmente lo aiuta a completare un esercizio – il rimanente dei partecipanti non si sente coinvolto come se fosse in aula, accanto al collega. La distanza fisica e la lontananza suggerita dalla mediazione tecnologica limitano lo spirito di partecipazione, la solidarietà e persino la sana (…beh, a volte anche malevola) competizione tra colleghi. Distrae dal qui e ora, con inevitabili ripercussioni sul livello di attenzione.
Immagino ancora un esercizio da far svolgere agli studenti uno dopo l’altro. Mentre mi dedico al primo, il secondo, affacciato al suo device, si “raffredda”. Quando poi arriva il suo turno, la risposta è comprensibilmente meno pronta. Il ritmo si rallenta, i tempi si allungano e il lavoro perde di efficienza.
Anche le attività di gruppo (simulazioni, role-play, discussioni, eccetera) sono ostacolati dallo strumento tecnologico, dai limiti tecnici dei materiali e delle infrastrutture utilizzate, si pensi in primis alla latenza.
Per contro, specialmente nei corsi di livello più basso, ho avuto modo di osservare che la modalità in remoto attenua nei partecipanti più fragili l’ansia da prestazione e la vergogna di sbagliare. Nel momento in cui si mostrano i propri limiti, il filtro tecnologico protegge la reputazione, limita le conseguenze e mitiga il timore di una “punizione”.
La lezione individuale
Quando tengo corsi one-to-one e lavoro sulla scrivania nell'ufficio del mio cliente, il rapporto docente-discente è meno sbilanciato, quasi un inter pares, anche in forza di un livello di conoscenza della lingua normalmente abbastanza elevato. Le parti si confrontano in maniera molto diretta e la lezione assume i contorni di un “momento di consulenza”. Così come non ci si distrae davanti a un cliente durante una trattativa, così è difficile perdere l’attenzione davanti al docente. Con tutti i distinguo del caso, nella mia esperienza, un incontro così pensato in presenza oppure in remoto non mostra differenze sostanziali per quanto concerne il tema dell’attenzione. Personalmente, questo è il tipo di lezione erogato a distanza a cui riconosco maggiore efficienza e in cui mi trovo più a mio agio.
Call-to-action
Detto questo, io non ho trucchi, tecniche o idee da suggerire per superare le criticità che ho rilevato. Se qualcuno piuttosto volesse contribuire e condividere qualche suggerimento è il benvenuto.
Grazie.
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