Comunicazione: il poco e il tanto

16/11/2020 10:35

 Questa volta provo a farmi un'intervista tutto da solo e vediamo come va.

Allora dottor Calza, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista...

...Ma grazie a lei per l’invito, piuttosto.

Nel suo ultimo articolo lei descrive lo scenario in cui lavora oggi chi si occupa di comunicazione con il paradosso: “Poco, ma di quel poco tanto”. Cosa intende esattamente? Ce lo può spiegare meglio? Cominciando però dall'inizio, quindi: “poco” in che senso?

Nel senso che – e parlo dello stato dell’arte in generale, guardandomi attorno a 360 gradi – c'è poco approfondimento. Poca attenzione per le fonti e per la loro autorevolezza e attendibilità. C’è poca capacità di elaborazione del dato e di sintesi e poi manca il senso critico. È tutto solo un mi piace, non mi piace, come ci ha insegnato Facebook. Un parlarsi addosso. Il web ha ucciso la riflessione: manca la voglia di capire, di immedesimarsi, di emozionarsi, di meravigliarsi, di cogliere il valore delle cose.

Chiaro. Allora cosa vuol dire “tanto”?

Tanto nel senso che, banalmente, siamo bombardati, incalzati da una sovraesposizione di messaggi di ogni tipo. Dalla comunicazione pubblicitaria, più o meno tradizionale, fino ai messaggi personali via WhatsApp o Messanger, i gruppi, gli alert, le notifiche... Passando naturalmente per video, post, blog, stories, dirette streaming, eccetera… E non sempre, anzi poco spesso, di buon livello.
Sotto il profilo professionale, invece, abbiamo a disposizione uno sproposito di mezzi più o meno nuovi su cui lavorare, spesso in parallelo. Diciamo che la pubblicità tradizionale – la televisione, la stampa, le affissioni – deve essere oggi affiancata da web, Social, App, News Letter, eccetera. Qui però domina la SEO che impone i limiti che tutti conosciamo e che noi siamo poi costretti a proiettare in qualche maniera anche sugli altri mezzi, per mantenere coerente la nostra comunicazione. E, le garantisco, è uno sforzo creativo mica da ridere.

E secondo lei come siamo arrivati fino a qui?

Se questa volta guardiamo con maggiore attenzione ai media in rete, sono gli strumenti che molti di noi usano maggiormente per comunicare, sia in maniera attiva che passiva, sia per scopi personali che professionali. Questi mezzi sono stati progettati proprio per dire “poco, ma di quel poco tanto”. Per trasportare messaggi confezionati in quella maniera: con quei limiti di approfondimento, di attenzione, di sintesi, eccetera, a cui accennavo prima. Ogni mezzo ha delle proprie specificità.
Mi spiego con un esempio: un monopattino trasporta una persona su un percorso molto breve, un aeroplano invece trasporta tante persone su un percorso di almeno media-lunga distanza. Un camion trasporta merci, sarebbe meglio per la minima distanza possibile, e un SUV, nella maggior parte dei casi, trasporta una persona con una stima di sé molto scarsa... Ma questo è un altro problema...

Così però sembra che tutto dipenda dai mezzi.

Sì, esatto. Cioè, non proprio tutto tutto, ma quasi. Lo strumento digitale, i media Social, come espressione di una tecnologia che oggi tutto controlla e tutto presiede, hanno una pervasività che i mezzi di comunicazione di massa tradizionali non hanno. Quando spengo la televisione, è spenta. Resta lì sul mobile in salotto. Per non parlare del telefono fisso che, come dice la parola stessa, è fisso e non viene via con me. Non ce l’ho addosso tutto il giorno, a disposizione in qualsiasi momento, che qualsiasi cosa io voglia fare la posso fare attraverso questa scheggia di tecnologia digitale che ho in tasca. Ecco in che senso è tutta colpa degli strumenti.

E allora, giro la domanda, perché gli strumenti oggi hanno assunto questo ruolo?

Perché, per fare business – non dimentichiamoci mai che è il loro scopo, giustamente – i media devono tenerci incollati al telefonino, per dire al telefonino. E fanno di tutto: l'information bias, le bolle, le Fake-News, i clickbite, la viralità, i meme eccetera. Devono essere sticky… Come si dice in italiano? ...Appiccicosi. No, devono fidelizzare l'utente – sto pensando alla dipendenza, ma non lo dico. Nel breve termine, per cui devi passare un post via l'altro, senza soluzione di continuità, ma anche nel lungo termine, per cui devi tornare onLine appena possibile, appena hai 5 minuti liberi.

A tale proposito, lei conclude il suo articolo segnalando un rischio.

Esatto. Se oggi buona parte della nostra comunicazione avviene attraverso questi strumenti, che hanno tutti limiti che abbiamo visto, allora è verosimile pensare che, dai e dai, prima o poi, tutti si finisca per “parlare” a quel modo, anche al di fuori dei contesti mediatici, cioè anche se non stiamo postando o chattando. E finiremo per aspettarci che anche l'altro ci risponda a quel modo.
È la teoria del Framing, secondo cui la cornice linguistica viaggia parallela a quella cognitiva e quindi fornisce gli strumenti con cui si comprende il mondo. Teoria che affonda le proprie radici nei lavori su linguaggio e pensiero di Piaget, ben prima che esistessero la comunicazione digitale e i Social.

La miniaturizzazione dell’elettronica che porta alla miniaturizzazione del pensiero.

Un minimo di speranza, no?

Beh, anche all'ultimo SMAU, in ottobre, che abbiamo ancora potuto fare in presenza, alcuni guru spiegavano che al sempre maggiore sviluppo dell'intelligenza artificiale corrisponderà una richiesta di forme più lunghe nella scrittura web. Dovremo dare all'algoritmo maggiori elementi per comprendere di cosa parla la pagina e avere un ranking adeguato. E, mi auguro, crescerà anche l'uso del linguaggio naturale.
Cosa le devo dire, comunque sarà un processo lungo.

Va bene, allora noi ci fermiamo qui. Dottor Calza, grazie mille per il suo tempo.

Ma ci mancherebbe! Grazie a lei e buon lavoro.

Buon lavoro, arrivederci.

...Vedete, a fare tutto da soli ci si risparmiano un sacco di rogne.
Tin, tun, tan, cinque minuti e passa la paura. Fantastico!

 

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