Comunicare il virus. Tu cosa faresti?
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Corrado Calza | giornalista | comunicazione | #coronavirusitalia | #covid19italia | #andràtuttobene | #iorestoacasa | #iostoacasa | #iocomunicando
No, non siamo qui per girare il coltello nella piaga. Non è carino e poi abbiamo tutti di meglio da fare. Anche se non possiamo nasconderci la pessima qualità della comunicazione pubblica e politica messa in atto dal nostro Governo durante questa prima fase dell'emergenza Covid-19.
- Parcellizzazione della comunicazione,
- sovraccarico di informazioni spesso tra loro contraddittorie,
- provvedimenti poco chiari e privi dell’indicazione di un percorso univoco da seguire,
- assenza di un coordinamento a livello apicale, in grado di esprimere autorevolezza,
- allarmismo, emotività, incertezza e approssimazione, inopportune anticipazioni e persino fughe di notizie.
Tutto contribuisce a creare confusione e di rimbalzo panico nella popolazione. Il cittadino è disorientato – anche dalla novità di conferenze in streaming, Question Time via WhatsApp e meeting su Skype a cui non è abituato – e fatica così ad accettare i divieti e a far proprie le misure di sicurezza indicate.
Ma io cosa farei?
- Io che sono un uomo di comunicazione, cosa farei?
- Io che durante la crisi immobiliare degli anni Novanta ho affrontato un lungo periodo di crisis communication, cosa farei?
- Io che ho lavorato anche nel settore Medicina e Salute, cosa farei?
- Io che avevo, tra gli altri, il compito di tradurre dal medichese all’italiano i contenuti per le pagine specialistiche del sito, cosa farei?
- Io che so quanto poco pubblico sia in grado di leggere e comprendere testi, non dico complessi, ma anche soltanto più lunghi di un post su Facebook, cosa farei?
- Io che quotidianamente mi dibatto tra la tentazione di pubblicare facili titoloni sensazionalistici a presa immediata e la velleità di interpretare il ruolo del bravo divulgatore, cosa farei?
- Io che ho sempre il dubbio di non riuscire a prevedere tutte le criticità e i punti chiave di un testo nei quali il lettore potrebbe incontrare difficoltà di comprensione, cosa farei?
Onestamente non lo so.
Tentativo n.1
Potrei optare per un profilo di comunicazione assertivo e pragmatico, persino indulgere in una qualche forma di drammatizzazione. In una narrazione emozionale e consolatoria che mi permetta di contribuire a controllare e contenere quei comportamenti irresponsabili a cui troppo spesso tutti ancora assistiamo.
Comunicare alle parti basse dell'attenzione produce però anche non pochi effetti negativi:
- accorcia la prospettiva dell'azione politica e sociale,
- obbliga a esprimersi in termini generali e quindi porta a escludere da informazioni a loro riservate un numero rilevante di segmenti di cittadini, che singolarmente non hanno un grande peso, ma sommati raggiungono la massa critica e di conseguenza costringe a tornare più volte sugli stessi temi per successivi chiarimenti e aggiustamenti,
con il risultato di acuire il senso di allarme.
Tentativo n.2
Potrei allora decidere di adottare un profilo alto e interlocutorio e alle interpretazioni privilegiare il dialogo scientifico, i numeri e i modelli, ossia i fatti. Avrei anche cura di inquadrare ogni singolo fenomeno in un contesto, in un frame di riferimento.
Anche questo modello presenta però delle criticità:
- da una parte la difficoltà di gestire un simile processo di informazione,
- dall’altra il rischio di perdere l’attenzione di tutti coloro che faticano a confrontarsi con la complessità di un simile flusso di informazioni.
- Soprattutto, poiché rinuncia ai frequenti "annunci" per concentrarsi su pochi comunicanti ufficiali, lascia campo libero alle numerose voci incontrollate e informali, con il risultato di acuire, ancora una volta, il senso di confusione nella cittadinanza.
I Social Network, dove emergono personaggi dalla scarsa competenza ma dal forte appeal e dove i pregiudizi diventano convinzioni e quindi opinione pubblica, rappresentano qui una reale minaccia al buon esito del mio impegno comunicativo.
Tentativo n.3
Potrei comunicare contemporaneamente in entrambe le modalità, tenere separati i due canali e forzare la targettizzazione dei messaggi. Uno sforzo titanico che inoltre non tiene conto dei rischi derivanti da una possibile esposizione incrociata. Innanzi tutto:
- disorientamento nel pubblico,
- delegittimazione e perdita della reputazione e della credibilità.
In questo caso il web, con tutto il suo potere di disintermediazione, contribuisce ad alimentare la diffidenza nei confronti delle Istituzioni (delle élite in genere) e assicura a ognuno conferme alle proprie opinioni, specialmente all’interno di gruppi caratterizzati da minori capacità di elaborazione.
Tentativo n.4
Potrei infine schierarmi con le varie maestrine del senno di poi che ci spiegano:
- che doveva parlare una sola fonte, una spokeperson designata;
- che bisognava ridurre la frequenza degli aggiornamenti e dei commenti;
- che si dovevano evitare le polemiche sui Social Media;
- che era necessario esprimere chiarezza e perentorietà, con grande coerenza, e porre il focus sulle questioni precauzionali e organizzative;
- che sarebbe stato utile trasmettere un numero maggiore di messaggi di natura positiva e puntare sulle speranze della gente non sui timori.
Potrei, ma a chi gioverebbe in concreto?
Quindi?
Adottare un profilo alto? Scegliere un profilo basso? Mantenere due canali paralleli? Brandire la matita rossa e dare una bella lezione a tutti? Ardua scelta, anche perché come fai sbagli. Ma chi non fa non sbaglia, si dice anche, e allora chi è senza peccato scagli la prima pietra. Se qualcuno di voi ha la ricetta perfetta per gestire questa situazione – nelle attuali condizioni – prego si accomodi. Gli lascio il palco, il podio e il microfono e torno a sedermi in platea.
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