Chi sbaglia non paga (...Io confesso)
Sono andato all'Ufficio del Lavoro (di Milano). Non avevo effettuato la prenotazione, anche se sapevo che era richiesta, ma (ecco la parolina magica) dovevo solo fare una domandina veloce veloce. All'ingresso mi hanno chiesto se avessi prenotato, ho risposto di no. Non hanno fatto una piega, mi hanno dato un numerino e dopo un attimo (un attimo davvero, non mi era mai successo!) sono stato chiamato.
Sorvolo sul fatto che la signorina dietro lo sportello (una Navigator?) non avesse la più pallida idea di cosa le stessi chiedendo, ma (ecco di nuovo la parolina magica) alla fine, con un po' di impegno da entrambe le parti, ce l'abbiamo fatta e ho ottenuto l'informazione che mi serviva. Detto fatto: un quarto d'ora e passata la paura.
Ho sbagliato? Sì, perché mi sono presentato consapevolmente senza prenotazione. Ho pagato per il mio errore? No, anzi! Non ho perso tempo a prenotare, non ho dovuto attendere il giorno della prenotazione e sono andato quando mi era più comodo. Non c'era nessuno perché tutti gli altri erano lì con la loro brava prenotazione e quindi me la sono cavata in un baleno. Cosa volere di più?
Stando però così le cose, diventa difficile impedire l'equazione per cui chi esige la prenotazione è “cattivo” e chi invece si prodiga per aiutarti, per venirti incontro è “buono”. Difficile, in egual modo, impedire il fenomeno dei “furbetti” che, per così dire, saltano la fila. Furbetti che, in fondo, nessuno di noi ha il coraggio di condannare. Ce lo dice in primis il vezzeggiativo che usiamo per indicarli. Li consideriamo dei maestri, sì di un gioco sporco, ma pur sempre dei maestri. Per i quali proviamo magari ammirazione e forse anche un po di invidia. Ammesso ciò, diventa anche estremamente difficile far arrivare ai furbetti il messaggio, banale quanto sacrosanto, che il cattivo mantiene solo l'ordine, condizione necessaria per il benessere della collettività, mentre il buono favorisce solo il caos, condizione invece favorevole ad abusi, ingiustizie, perdite di tempo, denaro e risorse.
Il buono, il cattivo e il furbetto.
Sembra il titolo di un film di Sergio Leone, in salsa malamministrazione, ed è facile immaginare per quale dei tre personaggi farebbe il tifo l'italiano medio. D'altro canto, siamo nati così, siamo cresciuti così e abbiamo modellato così il nostro ambiente, e spesso anche le nostre relazioni. Nessuna meraviglia, quindi. Meno facile è invece mettersi nei panni, chessò, di uno svizzero e provare a intuire con chi questi si schiererebbe. Il buono che ti fa passare anche se…? Il cattivo che rimane irremovibile, ligio alle regole? Il furbetto che, in bilico tra opportunismo e ingegno, la passa comunque liscia, forte anche di una pressoché certa impunità?
Voi pensateci su, io nel frattempo vado a vestire il saio del penitente.
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