C'era una volta la reperibilità
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Corrado Calza | giornalista | comunicanzione | content | digitale | cambiamento | lavoro | #iocomunicando
Seguo con attenzione il dibattito in corso sul prolungamento del calendario scolastico perché mi tocca personalmente, seppur in modo indiretto. Anche mia madre infatti è stata un’insegnante; andò in pensione nel 1975 (…Òmmi, quanti anni sono passati) e durante i mesi di chiusura delle scuole anche lei non lavorava, ma rimaneva comunque “reperibile”.
Trascorrevamo quel periodo nella nostra casa in campagna. Erano vacanze e non “le ferie”, come lei sottolineava, proprio perché doveva rimanere “reperibile”. Le ferie vere e proprie arrivavano più avanti, ad agosto, quando andavamo “in pensione” a Marina di Massa o in Liguria, ospiti di un giovane zio finanziere.
Mi piaceva stare in campagna da bambino: giocavo nel grande cortile con il cachi, insieme ai figli dei vicini, ma davo anche una mano in casa: pesche, nocciole, dalmassìn, fichi, un piccolo orto e il pollaio, per uso personale, in quei mesi impegnavano non poco tutta la famiglia.
Ogni mattina, mamma mi mandava al negozio in fondo alla strada che scende giù dalla collina, all'incrocio con la fondovalle parallela al fiume. Per me era una passeggiata di buoni dieci, quindici minuti. Lì compravo il pane fresco e quant'altro servisse in casa: oggi il latte e le acciughe, che la signora del negozio prendeva direttamente dalla tola, domani il salame cotto e la tuma, oppure il caffè, la conegrina o le sigarette per papà.
A volte la signora mi dava anche un biglietto: un foglio strappato da un quaderno a quadretti grandi, dove leggevo un numero di telefono e il nome di una delle scuole dove mia madre insegnava. Tornavo a casa con la spesa, consegnavo il biglietto alla mamma e lei tornava subito al negozio.
Sapevo che da lì a una settimana o forse più, avrebbe preso la sua macchina e sarebbe andata a una riunione con i colleghi.
Allora non c’erano i cellulari e per comunicare con i lavoratori “reperibili” era normale ricorrere a un “posto telefonico pubblico”, proprio come quell’alimentari all’inizio del paese. Si lasciava un messaggio e si veniva richiamati e tra questi due momenti poteva passare anche qualche giorno, quindi era necessario prevedere tutto con un certo anticipo. Oggi invece fissare una riunione a sette, dieci giorni è un’eccezione. Tutto succede in tempo reale, la programmazione ha ridotto il proprio margine di intervento a pochi giorni, se non a poche ore, e ha trascinato con sé, in senso più generale, un’intera progettualità di lavoro. Se non leggi un WhatsApp in tempo, rischi di perderti una call o magari la visita di un cliente.
Da quando l’innovazione tecnologica è entrata in maniera così pervasiva nel nostro quotidiano, abbiamo completamente cambiato modo di lavorare. E di riflesso siamo cambiati anche noi.
È un’innovazione tecnologica che oggi mi permette di lavorare comodamente da questa casa e vedere fuori dalla finestra una cartolina di colline e non i lavori in corso nel cantiere di fronte.
Che mi permette di aprire il cancello elettrico del cortile con il telecomando o con una app, senza dover far correre giù mio figlio.
Che mi permette di raffrescare, e specialmente riscaldare, questa casa in un tempo brevissimo con una sola pompa di calore.
Che mi permetterà di salire al piano di sopra con un piccolo montascale quando, purtroppo tra breve, le mie ginocchia non ce la faranno più.
È un’innovazione tecnologica che però mi obbliga a essere “reperibile” in qualsiasi momento perché, dall'altra parte, c’è un capo o un collega o un cliente che se lo aspetta. Che lo pretende. Anche perché è, a sua volta, altrettanto “reperibile” per altri capi, colleghi e clienti.
È un’innovazione tecnologica che, complici lo smart working e il lockdown, ha abbattuto i confini tra i luoghi e i tempi del lavoro e della vita privata, per cui molti di noi oggi “vivono sul lavoro”.
È un’innovazione tecnologica che sta spingendo le imprese a trasformare gli uffici in postazioni di lavoro su prenotazione, un po’ come succede con le city-car o i monopattini.
Si stava meglio quando si stava peggio, allora? No, per carità! Non cambierei mai il mio decespugliatore ricaricabile con quello vecchio a benzina! Né mi lamento di potermi risparmiare il traffico delle ore di punta per andare in ufficio. Però mia madre non riceveva messaggi dalle famiglie dei suoi scolari alle 10 di sera e, specialmente, non si sentiva in dovere di rispondere.
Questo è il cambiamento di cui tutti parliamo con grande entusiasmo nei nostri convegni… Pardòn, webinar. E il prezzo da pagare per l’altrui reperibilità è la stessa nostra reperibilità. È un prezzo equo, suddiviso tra le parti. Ma è un prezzo che molto spesso si rivela troppo alto se si guarda alla qualità della vita.
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