Censurare l'informazione. Perché no? Ma comunque, viva la libertà!

11/09/2017 10:00

Io non sono capace di guidare un autoarticolato, quindi è meglio se non me ne viene affidato uno perché potrei causare incidenti di proporzioni colossali. Altro che donna al volante pericolo costante!

Io non so leggere il giornale (secondo i dati Ocse-Piaac 2016 gli analfabeti funzionali in Italia raggiungono quasi un terzo della popolazione tra i 16 e i 65 anni) quindi è meglio se non mi viene dato accesso illimitato all’informazione attraverso le piattaforme digitali perché potrei contribuire a diffondere disinformazione e a rendere virali palesi fake news.

Da una parte.

Dall'altra invece abbiamo giornalisti (o sedicenti tali) che, per imperizia o dolo, scrivono in maniera scorretta, per non dire ingannevole. Provo a spiegarmi con un esempio liberamente tratto da un recente caso reale.

Titolo: Il sindaco di X è innocente.
Sommario: Confutate le accuse di turbativa d’asta e corruzione in merito al caso Y.
Testo: “Nel corso dell’udienza di ieri presso il tribunale di Z, il collegio difensivo del sindaco di X ha fatto riferimento agli articoli ecc. ecc. ecc… E la memoria difensiva ecc. ecc. ecc… E le intercettazioni ambientali ecc. ecc. ecc… E l’attività investigativa ecc. ecc. ecc… E la dichiarazione spontanea ecc. ecc. ecc… E il presidio sanitario ecc. ecc. ecc… E il patteggiamento allargato ecc. ecc. ecc… E le perquisizioni a tappeto ecc. ecc. ecc… E l’associazione mafiosa ecc. ecc. ecc… E i sequestri preventivi ecc. ecc. ecc… E il diavolo che ti porti ecc. ecc. ecc… (…) ...per provare la totale estraneità dell’imputato da tutti i capi d’accusa. Questa è la linea difensiva degli avvocati del sindaco di X che potrebbe risolversi a breve in un verdetto di assoluzione in Primo Grado.”

Ora, solo chi è stato in grado ed era davvero interessato a leggere l’articolo fino in fondo ha potuto evitare di cadere nel tranello (involontario?) teso dal titolo. (A risolverne l’ambiguità sarebbero bastate anche solo delle semplici virgolette). Chi invece non era in grado o, peggio che mai, non aveva voglia di completare la lettura, ma allo stesso tempo non intendeva perdere una buona occasione per far crescere la propria web reputation, avrebbe potuto condividere e commentare l’articolo solo in base alla prima (falsa) impressione. Avrebbe corso così il rischio di contribuire, senza nemmeno rendersene conto, a diffondere disinformazione (in alcuni casi a rendere virali vere e proprie fake news).

Ciò è cosa ben nota, da tempo. Ma allora? Cosa si può fare?

Per guidare un autoarticolato hanno inventato la patente D, ma per il possesso di uno smartphone nessuno ancora impone un permesso speciale. Quindi, come ci difendiamo da un simile pericolo? Dai vaccini, dagli olii di palma, dalle scie chimiche, dal fondo per i parlamentari in crisi del fantomatico senatore Cirenga, dai microchip sottocutanei per il controllo della mente, dal complotto gender, dai rettiliani e da tutto il quant’altro sapremo inventarci ancora domani?

Censuriamo l’informazione? Pretendiamo del buon giornalismo? Educhiamo le masse?

Difficile scegliere tra controllo all’accesso, limitazioni alla produzione e un impegno titanico da protrarre per tempi biblici prevedendo costi faraonici. Così come altrettanto difficile è, oggi in Italia, stabilire responsabilità, competenze, finanziamenti, compiti e ambiti di azione. Quindi la tentazione di optare per la soluzione più semplice si fa forte. Basta lasciare tutto così com’è, allo stato brado, e sollevare con gesto teatrale il vessillo della libertà! Più semplice di così.

Premessa, che inserisco alla fine solo per confondere ulteriormente le idee al lettore, tutto questo voleva essere null’altro se non una provocazione (o una beffa?), ma sono stato frainteso e, in sovrappiù, a mia insaputa! Ah, e consiglio anche una visita al Museo della bugia (www.labugia.it)

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