Archive #9: Big Brother is not down in the Mine
Why has the popular television format never reached the thirty-three survivors of the mine in Copiapó in Chile, despite the international scope of the event? (Originally published on: Solidarietà Come n. 356 - 15 Oct 2010 - Language: Italian)
IL GRANDE FRATELLO NON SCENDE IN MINIERA
Perché il popolare format televisivo non ha mai raggiunto i trentatre sopravvissuti al crollo della miniera di Copiapó in Cile, nonostante la portata internazionale dell’avvenimento
di Corrado Calza
Quando leggerete queste parole probabilmente l’eco dei festeggiamenti per la liberazione dei trentatre uomini sepolti dai primi di agosto nella miniera di Copiapò a nord di Santiago del Cile sarà ormai sfumato. Dopo un lungo periodo di silenzio, che potremmo far cominciare circa a fine agosto, è solo da pochi giorni che la notizia ha ripreso a essere trattata, da quando cioè la trivella impegnata negli scavi per il tunnel di fuga ha raggiunto una profondità tale da permettere previsioni sulla data della liberazione dei minatori prigionieri. È tornato a far capolino tra i titoli e i commenti anche il paragone con il Grande Fratello, quello Endemol naturalmente. Un paragone interessante che offre più di qualche spunto di riflessione, non tanto ovviamente sul fatto in sé, quanto piuttosto sui fenomeni di spettacolarizzazione che oggi caratterizzano buona parte della cronaca riportata dai mezzi di informazione.
La questione è: perché non è stato “coperto” in maniera continuativa tutto il periodo delle operazioni di salvataggio? I media locali, ovviamente, sono sempre stati “sul pezzo”, ma nessuno ha mai pensato ad accendere né un canale tematico via satellite o un sito Internet con una web-cam, nonostante l’interesse che l’avvenimento poteva facilmente scatenare su un piano internazionale. Unica eccezione il diario del figlio di uno dei minatori che il sito della Bbc ha ospitato e tradotto in inglese nella sua sezione Latin America.
Estremizzando la questione: perché nessuno hai mai davvero pensato di fare un Grande Fratello a Copiapò? A prima vista i presupposti per un grande successo sembravano essere garantiti.
Similitudini e differenze
Il Grande Fratello, lo sappiamo tutti, vede una decina di persone chiuse, segregate, prigioniere per cento giorni in uno spazio limitato, isolate dal mondo esterno. L’interesse dello spettatore si concentra sulle dinamiche di gruppo e sulle relazioni tra i singoli che in questo ambiente artificiale, insolito (e falso) si sviluppano e si modificano nel corso delle puntate. Lo stesso si poteva dire verosimilmente anche per la stanza di sicurezza della miniera San Josè: lo scenario era esattamente lo stesso. Fatta eccezione per le lenzuola pulite, le docce, la piscina, la “guida” degli autori e la certezza, nient’affatto trascurabile, che nell’arco di tre mesi si tornava tutti a casa e l’ultimo anche ripagato con un bell’assegno.
Il Grande Fratello poi è una gara, una gara solitaria che porta cioè uno solo dei concorrenti a trionfare. Il vincitore si aggiudica in premio un bel po’ di denaro e, almeno in teoria, raggiunge una notorietà superiore agli altri. A differenza di Copiapó dove invece la gara, se di gara si poteva parlare, era collettiva e in palio non c’erano soldi, ma – scusate la retorica – la vita. Era una competizione in cui purtroppo o vincevano tutti o non vinceva nessuno e in cui si combatteva contro il tempo, contro la depressione, contro il destino, tutti assieme. Per gli psicologi infatti all’interno del gruppo agiva in maniera naturale un senso di mutua solidarietà, mentre secondo gli speleologi gli effetti benefici dell’adrenalina contribuivano a rendere sopportabile la lunga attesa. Questa differenza, che in maniera paradossale ancora una volta però accomuna il Grande Fratello e la miniera di San José, prevede che nel primo si cerchino e si premino sempre l’alterco, la rissa, la situazione viziosa e il sesso esplicito, mentre nella seconda, al contrario, qualsiasi circostanza potesse alimentare la tensione e scatenare l’aggressività tra gli uomini veniva subito inibita.
Il primo “vero” GF
Il Grande Fratello è un evento mediatico che raggiunge ancora oggi share altissimi. Del Grande Fratello parla ogni giorno la stampa – non solo nelle pagine dello spettacolo – e il gossip ci va a nozze. I canali tematici satellitari propongono formati interattivi, le reti ammiraglie delle televisioni nazionali pubbliche e commerciali gli dedicano la prima serata e pillole quotidiane, incluse frattaglie parodistiche. Mentre, come abbiamo visto, i minatori cileni non hanno trovato per tutto l’arco di un mese un proprio spazio, anche se breve, sui giornali, sostituiti dalla babele di notizie fresche di giornata sempre disponibili che, cariche di un maggiore impatto emotivo, attirano più facilmente l’attenzione e abbattono inesorabilmente qualsiasi residuo di senso critico.
Eppure sembrava proprio che presupposti per un’edizione del Grande Fratello in diretta dal deserto di Atacama ci fossero tutti e che noi avremmo potuto finalmente assistere a un Grande Fratello nuovo, a un Grande Fratello “vero”. Un Grande Fratello senza autori ma con ingegneri e geologi a guidare le sorti dei “partecipanti”. Un Grande Fratello unico per tutto il mondo, parlato in spagnolo, con i sottotitoli e la consueta corte dei miracoli di commentatori, tronisti e televoto impegnata a confrontarsi – altra novita! – in Mondovisione. Una vera e propria svolta per questo format fatalmente segnato da un progressivo calo degli ascolti. Nessun network televisivo però ha mai chiesto di poter seguire fin dall’inizio, giorno per giorno, tutte le fasi dell’intervento della NASA, chiamata a coordinare le operazioni di salvataggio e a fornire appoggio medico e psicologico forte dell’esperienza con gli astronauti nelle stazioni orbitanti. Perché? Solo perché lo stretto condotto realizzato per far arrivare ai prigionieri aria, acqua, cibo e sonde era inadatto a far passare delle telecamere? Solo perché quindi non sarebbe mai stato possibile produrre materiale video di qualità sufficiente a soddisfare l’occhio raffinato del telespettatori? Difficile a credersi dopo che milioni di video girati con il telefonino e postati su youtube hanno inventato una nuova estetica dell’immagine che racconta la realtà quotidiana. Però né la CNN, né l’ABC, né la NBC, né gli inevitabili sponsor erano lì, come a dimostrare la certezza condivisa che un Grande Fratello al “Campamento Esperanza” sarebbe stato un flop.
Eros & Thanatos
Si fa strada allora un triste dubbio che porta a una risposta molto semplice ma altrettanto amara: siccome non avremmo mai potuto vedere quegli uomini bloccati a 700 metri sotto terra insultarsi, venire alle mani o accoppiarsi tra di loro, allora la cosa non ci interessava. Se non c’è violenza, sangue e sesso, noi non ci divertiamo. È una conclusione che spaventa e intristisce, ma probabilmente tutto sta proprio qui. E non serve giustificarsi chiamando in causa Eros e Thanatos, qualsivoglia altra reminiscenza accademica o le stesse teorie freudiane, né illudersi che questo sia un approccio semplicistico o riduttivo, perché sarebbe solo nascondersi dietro un dito.
Comunque adesso, se Dio vuole, tutto è finito. I giornalisti e le telecamere di tutto il mondo hanno raccontato l’happy ending di una storia incredibile e poi se ne sono tornati a casa. Ora si apre un nuovo capitolo, una nuova interessante e inedita questione: se per i fuoriusciti del Grande Fratello inizia un intenso periodo di ospitate, l’elezione all’ambito rango di opinionisti e una carriera da vittime dei paparazzi, quali porte si apriranno invece per “los treinta y tres”? E non è una domanda retorica se ancora resta aperta la questione della possibile bancarotta la per società mineraria proprietaria degli impianti a Copiapò.
Nota dell’editore: per questioni tecniche legate ai tempi di realizzazione del giornale, questo pezzo è stato impaginato prima del termine delle operazioni di salvataggio, certi del buon esito dell’intera vicenda.