Aspettando il traduttore universale del Capitano Kirk
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Corrado Calza | giornalista | comunicanzione | content | #ads | #pubblicità | #traduzione | #traduttori | #startrek | #iocomunicando
Ancora una volta guardo Google Traduttore e un po' mi emoziono davanti alla traduzione ormai pressoché perfetta che mi suggerisce. Il 90% del lavoro è fatto, basta mettere a posto giusto un paio di dettagli, ma il 90% del lavoro è fatto.
Mi emoziono e mi ricordo, nei primi anni 2000, quando ricevevo i contributi dal mio omologo polacco per la Newsletter che curavo in Pirelli RE, sempre troppo stringati e quindi da completare. Google Traduttore era un aiuto impagabile nelle ricerche con le fonti in lingua originale. Dio lo benedica, ma quanti errori! Talvolta dovevo persino confrontare la stessa traduzione in diverse lingue perché l'italiano, in alcune parti, era assolutamente incomprensibile.
Immediatamente dopo penso ai traduttori letterari e agli interpreti dei congressi, dei convegni o delle conferenze internazionali e al loro ingrato compito. Sono professionisti che fanno spesso capolino nei miei corsi di Business English. Li chiamo in causa per spiegare la differenza tra una traduzione che mi permette di capire se il testo dell'esercizio è stato compreso, anche solo in senso generale, e una traduzione che invece segue la struttura della frase nella lingua originale, rispettando ed evidenziando le differenze formali.
Mi piace raccontarli, i traduttori, come anime allo sbando, intrappolati nel dilemma – che già fu di Benedetto Croce, figuratevi un po' – se rispettare alla lettera la lingua di partenza, con esiti improbabili sul piano formale della lingua di arrivo, o al contrario se concedersi (più di?) qualche libertà nei confronti delle intenzioni dell'autore per presentare al lettore finale un testo ordinato e piacevole da leggere. Si tratta di un delicatissimo lavoro di mediazione in perenne equilibrio precario tra le due posizioni, che apre il campo a possibili equivoci e obbliga a scelte difficili.
Mi piace poi introdurre anche il ruolo del lettore (o del partecipante alla conferenza) destinatario del lavoro di traduzione, diverso non solo per lingua ma specialmente per cultura, portatore di un insieme interdisciplinare di valori e convenzioni sociali a cui il traduttore/interprete deve inevitabilmente fare riferimento quando sviluppa la propria traduzione.
Un facile esempio può arrivare dal mondo dei proverbi:
- Dire pane al pane e vino al vino, call a spade a spade, Kind beim Namen nennen. Tre scenari diversi: cibo, armi, famiglia.
- Il lupo cambia il pelo ma non il vizio, a leopard cannot change its spots, die Katze lässt das Mausen nicht. Tre animali diversi: lupo, leopardo, gatti (e topi).
- Se non è zuppa, è pan bagnato, six of one and half a dozen of the other, es ist gehupft wie gesprungen. In questo caso non ci sono elementi da poter nemmeno lontanamente confrontare tra di loro.
Ogni lingua presenta cioè un proprio universo di specificità che non si può non conoscere e di cui si deve tenere sempre conto, si debba tradurre un romanzo, un saggio o lo speech di una conferenza.
Lo stesso vale anche per la comunicazione pubblicitaria
Le campagne world-wide, che vengono poi trasposte nelle diverse lingue, affrontano queste medesime criticità. In modo altresì peculiare, perché di norma il linguaggio della pubblicità è rigidamente strutturato, ben connotato e, se non propriamente poetico, quanto meno fortemente suggestivo.
Anche il lavoro su una simile tipologia di testi quindi è molto delicato ed esige un'attenzione particolare perché, per esempio, il rischio di cadere nel ridicolo è sempre dietro l'angolo. Si pensi a quanto appaia improbabile alle nostre latitudini il personaggio dell'anziano che torna in camera da letto dopo un sopralluogo nel garage dove si era recato, torcia alla mano, perché aveva sentito dei rumori sospetti. Ne risente la capacità del messaggio di creare immedesimazione, generare solidarietà e permettere così al potenziale cliente di identificarsi.
Ma il ridicolo può diventare, in casi estremi, anche un vero e proprio disastro. Si pensi agli spot "sbagliati" di Dolce e Gabbana rivolti al mercato cinese per la campagna autunno inverno 2018, che hanno portato alla cancellazione della sfilata di Shanghai e al boicottaggio del marchio.
È la globalizzazione baby – potremmo dire parafrasando Humphrey Bogart. Ma, ancora di più, è la sovraesposizione, la sovrastimolazione, l'assedio da iperconnessione, il ritmo serrato imposto da un'auto-comunicazione ipertrofica favorita dalla condivisione onLine che insieme generano calo dell'attenzione, egemonia della superficialità e abbassamento delle aspettative da entrambi i lati dell'equazione, emittenti e riceventi. L'agenzia (o l'impresa) frettolosa e il consumatore/cliente distratto, strategicamente solidali, innescano un circolo vizioso proiettato al ribasso, teso verso un inevitabile e conveniente omologazione all'ingrosso. Nel segno di una prospettiva da hard discount.
Poi leggo i messaggi nella mia cartella Posta Indesiderata e mi consolo
Mi dico: Ok, non è possibile! L'Intelligenza Artificiale, anche in versione Neural Network, Machine o Deep Learning, non riuscirà mai a fare delle traduzioni davvero a prova di "Blind Test"... Almeno spero.
"Si prega di visitare il link di manutenzione qui sotto per passare automaticamente alla nuova versione di posta elettronica" è una frase grammaticalmente corretta ma, se non sapessimo tutti che si tratta di una traduzione fatta a macchina, diremmo invece che a scriverci è un non madrelingua. Ce lo rivelano piccoli dettagli come il "qui sotto" che, in un messaggio ufficiale noi italiani non useremmo mai, nemmeno via eMail. Siamo troppo innamorati del nostro registro stilistico formale, così meravigliosamente solenne, cerimonioso e affettato.
Basta confrontare l'indicazione "Rilevamento fotografico di infrazioni semaforiche" con il cartello "Red light camera".
Quindi – lo spero ma in fondo ci credo anche davvero – la grande sorella Internet e il suo alleato Dott. Google non riusciranno mai a interpretare le lingue
- fino a riconoscere tutte le influenze provenienti tanto dalla cultura "alta", come dai luoghi comuni dell’immaginario pop;
- fino a riprodurre ogni peculiarità, differenza e specificità, tanto da ingannare anche un lettore "educato";
- fino a cogliere i simboli, i miti, le metafore, gli archetipi, i rituali, le narrazioni, i legami tribali più lontani e tutto ciò che di altro serve a ricreare tra gli interlocutori quella risonanza cognitiva caratteristica e autentica per ogni lingua.
Nemmeno i più quotati professionisti della traduzione riescono a farlo bene sempre e quindi è difficile che ci riescano delle macchine, veloci ma (ancora?) limitate. Il rischio è piuttosto che queste macchine riescano a imporre i loro limiti a noi umani. Che riescano a convincerci, almeno in alcuni ambiti, ad accettare testi poveri e imprecisi. Che riescano, in senso più lato, ad azzerare, passo dopo passo, la varietà che rende bello il mondo. A realizzare, qualsiasi cosa voglia dire, la "Global Translation nell'era digitale" (© IULM, 2021/'22), frullando assieme meccanismi antropologici e convenzioni culturali, prese dai quattro angoli della terra, per servirci alla fine un bel bicchierone di segni universali, tanto privi di ambiguità e chiaramente riconoscibili da chiunque, quanto insipidi, effimeri, innocui, palesi, prevedibili, normalizzati e compromessi.
La nostra modernità, sostenuta dalla tecnologia, è apertura dei confini e riduzione delle distanze. È accoglienza e – passatemi il termine – inclusione. Collaborazione e cooperazione. Commistione e convivenza, persino connivenza, cittadinanza. Quindi contaminazione, somma e non sottrazione, affiancamento non sostituzione. Procede per similitudini e stratificazioni non per differenze e appiattimento, fino a quando però non diventa globalizzazione e si trasforma nello spietato mostro onnivoro, che tutti ben conosciamo, capace di trasformare ogni ideale in un feticcio senza vissuto e, specialmente, senza contenuto, in nome della cultura del mercato.
Comunque io non mi azzardo a fare previsioni
In un'epoca di cambiamenti così veloci, in cui chiunque è autorizzato a dire la propria, è difficile riconoscere chi poi davvero aveva colto nel segno. Chi ora ha la facoltà di sentenziare: "Ve lo avevo detto, io". Però, come mi auguro spesso, alla fine credo solo che per tutti noi professionisti della lingua, delle lingue, delle parole ci sarà sempre qualcosa su cui lavorare, quanto meno ancora per un po'. Quindi, come si dice, incrociamo le dita, fingers crossed... Daumen drücken!
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