Archive #2: The Channel is the Message
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Corrado Calza | Milano | comunicazione | giornalista | cellulari
Beyond any question of good manners and etiquette, mobile phone addiction is the most obvious symptom of the poor state of contemporary interpersonal relationships. (Originally published on: Solidarietà Come n.163 - 01-10-2002 - Language: Italian)
IL CANALE È IL MESSAGGIO
Al di là ogni questione di bon ton e galateo, la dipendenza da cellulare è oggi il più evidente sintomo del cattivo stato dei rapporti interpersonali
di Corrado Calza
Durante il mio ultimo viaggio in Inghilterra, ho avuto modo di osservare la pubblicità di una marca di cellulari magnificare la potenza dei propri apparecchi proponendo l’immagine di una barchetta a vela sperduta nell’Oceano e assicurando che persino lì avrebbero funzionato. Successivamente, negli States, la campagna pubblicitaria di un fuoristrada prometteva invece la possibilità di raggiungere posti così sperduti che nessun telefonino mai avrebbe avuto campo per ricevere. Due esempi che mi sono parsi quanto mai emblematici per evidenziare la conflittualità del nostro rapporto con il telefonino e in senso più lato con la comunicazione e i rapporti personali in genere.
Il cellulare è una benedizione divina o una gran rottura di b***e? Qualunque sia la vostra risposta, i risultati di una ricerca effettuata in Italia prima dell’estate hanno contato oltre 58 milioni di cellulari: due milioni e passa in più degli italiani censiti. Altro dato, mi pare, abbastanza significativo.
Schiavi e simbionti
L’uomo è schiavo o simbionte del proprio cellulare? Ha ragione chi dice di tenerlo spento in borsetta e di usarlo solo nei casi di emergenza, in realtà molto pochi, oppure chi non si toglie mai dall’orecchio il filo dell’auricolare, nemmeno quando incontra gli amici o i colleghi per andare a cena fuori, ossia la grande maggioranza?
Io propendo per la versione schiavi. Certo, poter contattare una persona in qualsiasi momento è una grande comodità, ma questo ha modificato sostanzialmente i rapporti tra gli esseri umani e non sempre in maniera positiva. Oggi, per esempio, non si riesce più a prendere un appuntamento in maniera civile e il rispetto per gli appuntamenti presi quasi non esiste più.
«Allora ci vediamo ’sta sera?»
«Sì.»
«Ma dove e a che ora?»
«Boh, non so. Ci sentiamo più tardi.»
Poi, dopo qualche ora.
«Allora, com’è la storia per ’sta sera?»
«Ma, niente, guarda: Tizio esce con la donna, Caio ha finito la benzina, Semprogno non c’ha manco una lira. Non se ne fa niente.»
Et voila, il pacco è servito caldo caldo all’ultimo momento, e senza più nemmeno troppi sensi di colpa: tanto si può sempre telefonare a qualcun altro e raggiungerlo immediatamente ovunque egli sia.
Come dimenticare Verdone: “’Ndo state? Che fate? Quanti siete? A str…”
Reperibilità vs. contenuti
La parola chiave sembra essere reperibilità. Elemento, come abbiamo già detto, di estrema comodità ma anche riconosciuta fonte di grande stress. Eppure sembra che oggi tutti abbiano sempre voglia di essere contattati e in qualsiasi momento. Persino se si tratta dell’ufficio! Non sono infatti i datori di lavoro a obbligare i loro dipendenti ad avere il cellulare sempre acceso, ma questi piuttosto a sentirsi in dovere di essere sempre disponibili, specialmente in determinati settori professionali, in testa quello pubblicitario e quello edile.
Sfuggire alla perenne reperibilità è impossibile: non è concesso spegnere il cellulare!
«T’ho chiamato ieri sera a casa e ho trovato la segreteria.»
«Eh si, ero fuori a cena.»
E la cosa finisce lì. Ma:
«T’ho chiamato ieri sera, avevi il telefonino spento.»
«Eh si, ero fuori a cena.»
«Ah. Sì, vabbé, ma cosa c’hai il cellulare a fare se poi lo tieni spento?»
È la coscienza collettiva che non permette di ...staccare la spina, di isolarsi, di sfuggire a quel continuo desiderio di contatto per cui l’uomo moderno nutre un bisogno insaziabile. L’ha detto di recente anche il nostro ministro Sirchia (...e se lo dice lui!): «Solitudine e follia sono le nuove emergenze.»
Altro dialogo:
«Ciao, dove sei?» Che sul telefonino sostituisce sempre il “Ciao, come stai?”
«Sto arrivando.»
«Bene, ciao.»
«Ciao.»
Giù il telefono.
E non sempre, anzi quasi mai, chi riceve la chiamata è in ritardo per l’appuntamento. Ma che c***o gli telefoni a fare? Quel povero disgraziato sta bestemmiando in tutte le lingue a lui note perché non trova da posteggiare o, peggio ancora, sta facendo manovra con dietro il solito p***a che gli si è fermato nel sedere e che gli sta rendendo le cose vieppiù difficili. E poi non sei forse tu il primo a rivolgere irripetibili ingiurie al tuo telefonino quando squilla in momenti poco opportuni? Se il tuo amico è in ritardo o non ha più voglia di venire, telefona: il cellulare ce l’ha anche lui!
Una chiamata totalmente inutile quindi, priva di qualsiasi contenuto, volta esclusivamente ad accertare la presenza dell’altro, ad averne conferma, a riempire cioè un proprio vuoto, ma tragicamente con dell’altro vuoto. Un po’ come se si dicesse:
«Ciao, non avevo niente da dirti. Volevo solo sapere se ci sei ancora.»
«Sì, sì. Ci sono ancora.»
«Bene, ciao.»
«Ciao.»
Cosa che sì dà sollievo, ma solo temporaneo e obbliga quindi a successive e sempre più frequenti applicazioni della terapia. Sembra quasi fatto apposta per ingrossare sempre di più i ricavi delle varie compagnie telefoniche.
Tanto per capirci, durante le scorse festività natalizie, sono stati spediti 270 milioni di messaggini che, escluse promozioni, fa: 27 milioni di euro, centesimo più centesimo meno (per chi ancora non avesse confidenza con tutti questi zeri nella nuova valuta comunitaria, sono oltre 52 miliardi di vecchie lire). E parlavamo soltanto di SMS da 10 cent l’uno!,
Lingustica & tecnologia
Marshall McLuhan, studioso che potremmo considerare il primo massmediologo assurto a una certa notorietà popolare, alla fine degli anni ’60 postula la teoria che con i nuovi sistemi di comunicazione di massa, nel messaggio è cresciuta l’importanza del mezzo. Da qui la nota affermazione: “Il mezzo è il messaggio” che si legge per la prima volta nel suo libro “Gli strumenti del comunicare” del 1976.
In un atto comunicativo faccia a faccia, il vincolo forse più importante è il destinatario del nostro discorso: è un bambino? Un adulto? È un amico o un passante? Il mio capo o un subalterno? È uno o sono tanti? E poi, l’argomento della discussione è noto? E fino a che punto? Posso usare un linguaggio tecnico o devo essere divulgativo? In funzione dei diversi destinatari si danno così differenti forme ai medesimi contenuti. In una comunicazione mediatica, sostiene McLuhan, è invece il mezzo ad assumere maggiore importanza: il confezionamento di un messaggio per un medium di massa richiede l’attenta valutazione delle varie soluzioni tecnologiche messe a disposizione dal mezzo e di come queste possano contribuire a una maggiore o minore efficacia della comunicazione stessa. Dalla radio che fa sentire gli effetti sonori, attraverso la stampa che mostra le immagini dei personaggi e la televisione che le mette in movimento, fino agli odierni formati multimediali che garantiscono persino un ampio grado di interattività personalizzabile con la fonte, il mezzo dà forma alla comunicazione.
Oggi, la telefonia cellulare ha nuovamente cambiato le cose: se già il sistema degli SMS, con soli 160 caratteri a disposizione, tutte le sue abbreviazioni, simbolini e iconcine ha impoverito il linguaggio, il comunicare a squilli: uno squillo significa ti penso, due mi manchi, tre ti amo, lo ha azzerato!
Però non ho capito: i telefonini hanno le suonerie con le musichine, non fanno più drin che si possono contare gli squilli. E allora come si fa? Si contano le note? Le misure? O i da capo? Difficile. E se poi non ci si accorge del primo squillo? Il rischio di fraintendere completamente il messaggio e davvero alto!
Il canale: contenuto zero
In pratica, il Dove sei? - Sto arrivando - Bene, ciao, così come il parlarsi a squilli, lo abbiamo già detto, azzerano il contenuto in favore del contatto: riempiendo un vuoto con dell’altro vuoto.
Se la comunicazione faccia a faccia privilegia l’attenzione per l’ascoltatore, quella mediatica il mezzo e, per inciso, quella personale la relazione che intercorre tra i due, questo tipo di comunicazione cellulare tende quasi esclusivamente a evidenziare, esplicitare, ravvivare il canale, ossia quell’elemento fisico, quel ‘filo’ che collega le persone coinvolte nella comunicazione e permette loro di comunicare.
Non è nulla di nuovo, il cellulare non ha né scoperto né inventato il canale: da sempre durante un discorso parte di ciò che si comunica viene utilizzato per controllare se il canale è ancora attivo e aperto. Durante le conferenze, così come durante le lezioni universitarie, il relatore o il docente si rivolgono all’uditorio chiedendo: «È tutto chiaro?» Oppure: «Ci sono domande?» E questi non sono che due esempi espliciti, anche un po’ banali. Nella stessa maniera, normalmente in un dialogo, chi ascolta emette dei deiettici: suoni disarticolati ma chiaramente codificati come “Mmh, mmh. Ah, ah. Eeeeh.” che lasciano intuire all’altro che si è ancora lì e che lo si sta ascoltando, che il canale è appunto ancora aperto e attivo.
Ma, se concentrare l’attenzione sull’ascoltatore significa parlare in modo che questi possa capire meglio, focalizzarsi sul mezzo significa impiegarlo nella maniera più efficace e mettere in evidenza la relazione significa far intendere all’altro il proprio sentire nei suoi confronti, allora sottolineare l’aspetto del contatto, attraverso l’enfatizzazione del canale, è in fondo una ricerca di conferma del proprio stesso esistere. Sono perché faccio parte di una rete sociale, distante, smembrata, remota e virtuale (se volete), filoguidata, ma pur sempre una rete sociale.
Non occorre essere un affermato psicologo o uno stimato sociologo per giungere a simili conclusioni, che forse sono estreme, magari un po’ apocalittiche, ma senza dubbio tristi. Purtroppo sembra difficile trovarne altre e migliori a comportamenti come questi a cui assistiamo quotidianamente.
Ma forse una soluzione c’è
Negli Stati Uniti, dove al cellulare la gente sembra ancora preferire di gran lunga il pager: il cerca-persone, un problema per certi versi simile ha preso corpo attorno a un’altra innovazione tecnologica: l’e-Mail. Gli americani, guidati dal grande pragmatismo che li contraddistingue, nel tentativo di risolvere la questione hanno istituito in numerose grandi aziende gli “e-Mail Free Thursday”: i giovedì senza e-Mail, per costringere i dipendenti, almeno un giorno alla settimana, a parlare con i colleghi di persona e non solo via posta elettronica. Probabilmente basta avere un po’ di pazienza e tra breve, sempre da oltre oceano, giungerà una soluzione simile da proporre a tutti coloro che senza il cellulare proprio non riescono a stare.