Archive #6: Fulla Vs. Barbie. A Family Conflict
Politically correct Vs. sharia law? Rather a middle way in the name of today's mother of all cultures: business. (Originally published on: Solidarietà Come n.240 - 15-12-2005 - Language: Italian)
FULLA VS. BARBIE. SCONTRO IN FAMIGLIA
Politically correct vs. sharia? Piuttosto una via di mezzo del nome della cultura oggi madre di tutte le culture: il business
di Corrado Calza
Qual è la notizia? Che hanno fatto una Barbie col velo? Che le hanno fatto gli occhi scuri, i capelli neri e una taglia di seno in meno? Certo non le hanno dato il corpo di una mediorientale, da danzatrice del ventre per intenderci, ma hanno voluto replicare le forme da modella della bambola americana. La confezione – marchiata made in China – la vede indossare un modesto completo “da esterno” – l’hijab: il pesante soprabito scuro con sciarpone copricapo – e include il tappetino da preghiera. Certo, perché il resto degli abitini te li devi comprare a parte. Così come il kit per Fulla maestra e Fulla dottoressa, due “professioni rispettabili” per una donna musulmana dicono al NewBoy Design Studio che produce il giocattolo.
Non penso sia questa la notizia, anche perché ormai del successo di Fulla e della scomparsa della sua concorrente a stelle e strisce dagli scaffali dei negozi di giocattoli di tutto il Medio Oriente ne hanno parlato già un po’ tutti i giornali.
La notizia allora è che Fulla non è un prodotto Mattel né un prodotto occidentale? Forse. Il progetto è nato in Siria intorno al 2000 forse sull’onda di numerosi fallimentari esperimenti condotti un po’ ovunque per realizzare una bambolina che potesse soddisfare i mercati di cultura islamica, persino i più conservatori – e più ricchi – come l’Arabia Saudita. Per prima ci ha provato proprio la Mattel, che dopo la una Barbie comunista (in tutina da operaio cinese) e una Barbie disabile sulla sedia a rotelle, tentò di commercializzare anche una Barbie danzatrice del ventre e Leila: una Barbie marocchina in versione schiava mussulmana della corte ottomana (sic). Un flop. E stessa sorte è toccata a molte altre aziende minori statunitensi che proponevano bambole islam-friendly alle nicchie di pubblico locale di fede musulmana, così come a imprese di paesi islamici che si rivolgevano esclusivamente al loro mercato interno. E allora, come mai questa volta sì?
Barbie è morta?
Chi mastica anche solo un minimo di marketing conosce il principio del “ciclo di vita del prodotto”. A un certo punto qualsiasi cosa, prima o poi, smette di vendere. Gli puoi cambiare la confezione, pomparlo con una campagna pubblicitaria costosissima, metterlo in 3x2, regalare cinque anni di Rc con incendio e furto a chilometri illimitati o venderlo a rate, farne la versione light o superconcentrata o a pH neutro, ma prima o poi smette di vendere. È una questione fisiologica. Il mercato “preferisce” una cosa nuova, pressoché identica alla precedente, ma ai suoi occhi nuova. Che sia giunto allora il momento di scomparire anche per Barbie, quel tontolone di Ken e tutta la pletora di personaggi secondari, cortigiani e cortigiane varie?
Forse, ma forse invece il successo di Fulla è piuttosto figlio della reazione che la cultura islamica sta opponendo a tanto rigetto da parte dell’Occidente. È un comportamento comune a tutti gli esseri umani, un meccanismo di difesa e insieme di sfida, una ricerca di auto-conferma stimolata da un rifiuto proveniente dall’esterno che finisce per portare alla chiusura in sé stessi e alla replica e all’ostentazione proprio di quel comportamento oggetto stesso della critica.
Ma se così fosse, allora la notizia è proprio questa, l’elemento interessante sta proprio qui. Fulla indossa il velo, nasce indissolubilmente congiunta al suo bravo tappetino da preghiera e incarna tutti i valori femminili più tradizionali della brava donna musulmana. Ce lo insegna la pubblicità: sta a casa, prega, aspetta i genitori, cucina per le amiche (ha anche lei la sua immancabile corte di personaggi spalla)… Ed è una pubblicità assillante e presente su tutti i media a disposizione e a tutte le ore più propizie. Fulla va incontro al desiderio di qualunque madre credente che, non essendo le vie di mezzo di questa terra, preferisce decisamente vedere la propria figlia indossare il velo che lasciarla uscire conciata da tr… occidentale con i pantaloni a vita bassa, la pancia e mezzo sedere di fuori, come vorrebbero invece tutti da Barbie a Britney Spears, passando per le nuove bambole Winx.
Ora, semplificando, estremizzano e polemizzando, Fulla è una brava ragazza, tutta casa, famiglia e moschea – l’ideale per far uscire dai gangheri anche la più tollerante delle femministe –, mentre Barbie è bella, ricca e se la tira; passa praticamente tutto il suo tempo a divertirsi – il fuoristrada, la barca, il maneggio… – e a spendere una valanga di quattrini. Chi buttereste giù dalla torre? Chi vorreste come tutore di vostra figlia? Quale modello possiamo considerare preferibile?
Nei paesi islamici moderati il velo non è un obbligo, a esempio in Turchia è addirittura vietato negli uffici statali. In Occidente vestirsi “alla moda” non è necessario, ma quando hai 12 anni vallo a raccontare alla tua compagna di banco fighettina, se ci riesci. E se ci riesci, rimani lo stesso integrata nel suo gruppetto di amiche del cuore.
Ma il problema non è poi tanto questo. Sì, certo è un problema e anche non da poco, ma a ben vedere, Fulla rimane comunque solo una bambola di plastica, prodotta in serie, in grande serie (chi sa di marketing sa anche di “economie di scala”) e che quindi non costa un c…, ma viene venduta a un prezzo che oscilla intorno al 10/15% di uno stipendio medio mensile. Il dato è forse un po’ tanto approssimativo, ma è solo così per rendere l’idea. Una bambola di plastica il cui ruolo principale altri non è che quello di rendersi disponibile a farsi acquistare sempre nuovi accessori e di spingere la sua “mamma” ad acquistarne per sé. A marchio Fulla oggi esiste infatti un catalogo di circa 150 referenze tra abbigliamento, bigiotteria e orologi, zainetti e cartoleria varia, merendine e corn flakes (…corn flakes???), biciclette, lettori CD e altra elettronica mista.
In pratica, alla fine, la notizia è questa: stanno cominciando anche loro a tirarsi delle gran zappate sui piedi da soli. È quasi ridicolo: è stato realizzato un prodotto che incarna quanto di più tradizionale (almeno noi da qui) si possa immaginare, che allo stesso tempo è guidato dalla più bieca logica consumistica; doppiamente bieca perché fa leva sui desideri non solo delle bambine ma anche delle madri, che poi sono quelle che alla fine in negozio cacciano il grano.
Gran parac… il signor NewBoy Design Studio. Chissà chi glielo ha insegnato ‘sto trucchetto bastardo!
Un pensiero anche ai più grandicelli
Per fortuna gli adolescenti, che non giocano più con le bambole, sono ormai estranei a questi tipi di condizionamenti… Ah, sì? E la rana pazza, Crazy Frog? Quell’animazione da scaricare a pagamento via Internet sul proprio cellulare con la suoneria che fa: “Din Din Diridi Don Don Da…” e che credo poi finisca con una specie di rutto? Quella che cos’è? Non è una bambola, non gli puoi comprare i vestitini e non ha (almeno per ora) lanciato una linea di abbigliamento, ma in compenso ha stampato un disco, un singolo intitolato “Axel F” che ha venduto c-e-n-t-o-m-i-l-a-c-o-p-i-e! “Din Din Diridi Don Don Da… rutto” e sotto Bunz! Bunz! Ora ha pubblicato anche l’album: “Crazy Hits”, pubblicato da Universal.
Eh già, meno male che i nostri figli adolescenti non giocano più con le bambole…